La Ragioneria dello Stato boccia l’anticipo dei tempi di liquidazione del TFS

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Ultimo aggiornamento 29/03/2024

In base all’articolo 3, comma 2, del decreto-legge 79/1997, nel pubblico impiego il TFS viene versato a distanza di un anno dal termine del rapporto di lavoro, pagato a rate annuali se l’importo è superiore a 50mila euro (articolo 12, comma 7, del decreto 78 del 2010).

Il trattamento di fine servizio (comunque denominato) dei dipendenti pubblici viene liquidato dopo 12 mesi dalla pensione e dopo 24 mesi se il rapporto di lavoro si interrompe per licenziamento o dimissioni del lavoratore. I tempi si allungano ancora di più in casi di pensione anticipata con formule come Quota 100-102-103.

La Corte costituzionale con la sentenza 159/2019 aveva già invitato il Legislatore a programmare un intervento riformatore sottolineando «l’urgenza di ridefinire una disciplina non priva di aspetti problematici, nell’ambito di una organica revisione dell’intera materia».

Lo scorso giugno, con la sentenza 130/2023 ha dichiarato in contrasto con i diritti costituzionali il pagamento differito della liquidazione ai dipendenti pubblici per contrasto con il principio di giusta retribuzione, che «si sostanzia non solo nella congruità dell’ammontare corrisposto, ma anche nella tempestività dell’erogazione».

La norma censurata è l’articolo 3, comma 2, del decreto-legge 79/1997. Secondo l’alta Corte, l’attuale quadro normativo è in contrasto con l’articolo 36 della Costituzione, che sancisce il diritto a una retribuzione proporzionata e dignitosa con il conseguente obbligo per il legislatore di individuare mezzi e modalità per il ristabilimento della legittimità costituzionale, avendo riguardo al rilevante impatto finanziario che il superamento del differimento comporta.

Da qui anche la richiesta dell’INPS al Legislatore di provvedere a risolvere il vulnus. Secondo l’INPS, l’importo medio lordo del TFS dei dipendenti pubblici che raggiungono la pensione di vecchiaia o i limiti di servizio è pari 82.400 euro.

Tuttavia, si è appreso che, alla luce di costi che rendono impossibile l’attuazione di correttivi, neppure in modo graduale, la Ragioneria Centrale della Stato ha chiesto alla Commissione Lavoro della Camera di non dare seguito alle proposte di legge migliorative dell’attuale disciplina.

Secondo la Ragioneria Generale dello Stato non ci sono i margini economici per anticipare a tre mesi (invece di un anno) il pagamento della prima rata del TFS, né tanto meno per aumentarne l’importo a 63.600 euro (invece di 50mila euro): il costo annuo sarebbe di 3,8 miliardi per il 2024.

Resta il fatto del pronunciamento della Consulta con una discriminazione irrisolta su cui, prima o poi, il legislatore dovrà intervenire.

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