La residenza virtuale

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Si parla di residenza virtuale in riferimento ai soggetti senza fissa dimora, a coloro cioè che, per scelta o per difficoltà economiche, non hanno un’abitazione e sono costretti a vivere per strada.
Soggetti che, se non esistesse l’istituto della residenza virtuale, non sarebbero rintracciabili e non potrebbero godere di alcun diritto.

Ricordiamo infatti che ai sensi della legge n. 1228/1954, che contiene l’ordinamento delle anagrafi della popolazione residente, l’iscrizione all’anagrafe del Comune è un vero e proprio diritto soggettivo, che spetta a tutti i cittadini che ne hanno la facoltà.

Ogni Comune da parte sua è obbligato a tenere l’anagrafe della popolazione residente e a registrare anche le posizioni delle persone senza fissa dimora “che hanno stabilito nel Comune il proprio domicilio.”

Chi è senza fissa dimora ha l’obbligo di chiedere l’iscrizione nell’anagrafe, di comunicare ogni successiva variazione e denunciare all’ufficio comunale competente l’eventuale e successivo trasferimento.

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Costoro infatti, come previsto dall’art. 2 della legge 1228/1954, ai fini dell’obbligo d’iscrizione all’anagrafe comunale, si considerano residenti nel Comune in cui hanno fissato il loro domicilio.
Per questo, quando procedono all’iscrizione, devono fornire tutte le informazioni necessarie agli addetti del Comune, per procedere ai controlli necessari da cui evincere l’esistenza effettiva del domicilio.

Il Comune, dal punto di vista pratico e in base a quanto sancito dalla circolare Istat n. 29/1992, quando riceve e la domanda d’iscrizione anagrafica da parte di un soggetto senza fissa dimora, provvede ad attribuirgli la residenza in una via fittizia, che non esiste, ma che ha comunque valore giuridico.
Non è detto però che il senza fissa dimora non possa fissare un domicilio a cui essere reperibile. In questo caso lo stesso, sempre in base a quanto sancito dalla legge, sarà considerato residente nel Comune di nascita.

L’attribuzione di una via fittizia ai senza fissa dimora è indispensabile affinché gli stessi possano chiedere documenti importanti come la carta d’identità, il permesso di soggiorno, il suo rinnovo e la tessera sanitaria.

Il mancato riconoscimento di una via fittizia in favore dei senza fissa dimora comporta la violazione d’importanti diritti e doveri di rango costituzionale come il dovere di solidarietà politica, economica e sociale, il diritto all’uguaglianza formale e sostanziale, al lavoro, alla libertà personale, all’inviolabilità del domicilio, alla libertà di fissare la propria residenza nel territorio dello Stato, alla difesa in giudizio, alla salute, all’assistenza e alla previdenza sociale e al voto.

La legge del 15 luglio 2009, n. 94, attraverso la modifica dell’art. 2 della legge n. 1228/1954, ha previsto l’istituzione, presso il Ministero dell’Interno, del registro nazionale delle persone che non hanno fissa dimora, funzionante attraverso l’utilizzo del sistema INA-SAIA.

Sistema disciplinato dal Decreto del Ministero dell’Interno del 6 luglio 2010, il quale ha chiarito che il registro nazionale dei soggetti senza fissa dimora è tenuto dal Dipartimento per gli affari interni e territoriali – Direzione centrale per i servizi demografici.

Al registro accede esclusivamente il Ministero – Dipartimento per gli affari interni e territoriali – Direzione centrale per i servizi demografici, mediante apposita funzione di ricerca, per le finalità di tenuta e di conservazione del registro.

Ricordiamo, per dovere di completezza, che la residenza, in base a quanto previsto dall’art 43 c.c., è il luogo in cui la persona ha la sua dimora abituale. La residenza, insieme al domicilio e alla dimora sono i luoghi da cui emerge un collegamento tra persone e luoghi.

I posti in cui le persone si trovano sono molto importanti perché solo in questo modo è possibile rintracciarle quando necessario e poi perché il collegamento della persona con un certo territorio gli garantisce la possibilità di esercitare e godere di tutta una serie di diritti, che, come abbiamo visto, sono riconosciuti anche dalla nostra legge fondamentale.

È infatti sempre la Costituzione, che all’art. 14 sancisce l’inviolabilità del domicilio, così come della residenza e della dimora. Tali luoghi, in cui la persona svolge la sua vita privata, la sua attività lavorativa o in cui ha la sede di alcuni suoi specifici interessi, sono definiti inviolabili, perché sono assoggettabili a sequestri, ispezioni e perquisizioni solo nei casi e nei modi stabiliti dalla legge e solo se viene tutelata la libertà personale.

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