Riportiamo la nota del 5 dicembre 2022. inviata al Capo della Polizia dalla Segreteria Nazionale:
“Siamo consapevoli che la complessità della macchina amministrativa che Lei rappresenta al massimo livello non consenta una sistematica, capillare verifica del corretto adempimento dell’incarico conferito a quanti sono preposti alla direzione delle articolazioni territoriali della Polizia di Stato.
Per questo, anche in virtù dei diretti riscontri in ordine allo spirito riformista che ha sin qui caratterizzato il Suo mandato, abbiamo sempre cercato di porci nella prospettiva di interlocuzione finalizzata non già ad alimentare focolai dialettici, quanto a cercare di favorire la ricomposizione dei contrasti conseguenti alle frizioni su tematiche di interesse sindacale eventualmente insorte. Un approccio, il nostro, di cui crediamo Lei possa essere buon testimone.
Questo impegno condiviso viene però messo a repentaglio ogni qualvolta registriamo atteggiamenti disallineati non solo dai presidi ordinamentali, ma anche dalle chiare indicazioni del vertice del Dipartimento della Pubblica Sicurezza.
Evidentemente c’è chi non ha recepito il messaggio sotteso all’istituzione del Tavolo permanente per la prevenzione delle cause di disagio del personale, che nel Suo intendimento, quando lo ha promosso, doveva servire ad elaborare strategie, anche attraverso l’individuazione di opportuni strumenti normativi, per offrire un adeguato supporto a chi si trovasse alle prese con contingenti momenti di difficoltà. Un fatto di estrema importanza e di valore inestimabile.
Purtroppo, nonostante il Suo chiaro indirizzo, Accade ancora che siano imposte verifiche sanitarie sull’idoneità al servizio in apparente assenza di valide ragioni. Pretendendo financo di sottrarre alla conoscenza dei diretti interessati gli atti presupposti a tali opache determinazioni.
Quanto precede altro non è che il perimetro all’interno del quale si è consumata l’assurda vicenda occorsa ad un collega della Questura di Ancona. Il quale, inopinatamente, è stato convocato dal proprio Dirigente che, alla presenza di altri operatori, gli ha comunicato che si doveva portare presso l’Ufficio Sanitario per essere visitato dal Medico dell’Amministrazione.
Qui apprendeva che l’accertamento era stato sollecitato dal Questore in base al contenuto di una relazione nella quale il suo Dirigente evidenziava alcuni comportamenti sopra le righe, per lo più risalenti ad anni addietro.
Allo stato non è ancora chiaro se l’atto su cui si è attivato il predetto iter sia stato di iniziativa o sollecitato. Ciò che appare lapalissiano è che non sussistevano i presupposti per una siffatta procedura atteso il tempo trascorso rispetto agli eventi valutati.
Nonostante il Medico non avesse rilevato alcuna anomalia comportamentale, a distanza di qualche settimana è stato poi invitato anche a presentarsi dallo Psicologo in servizio presso la medesima Questura. Ed anche questo specialista non ha riscontrato alcun tipo di problematica.
Resta quindi lo smarrimento, l’irritazione e la frustrazione subita da un operatore che tra un anno accederà alla pensione, con 36 anni di onorato servizio, per lo più svolto in attività investigativa per la quale ha ricevuto molteplici attestazioni di merito e formali riconoscimenti premiali, con il punteggio massimo nei rapporti informativi ed un ruolino disciplinare immacolato. Fortunatamente si tratta di un collega con un solido assetto interiore, che diversamente da quanto avrebbe potuto fare chi davvero avesse avuto una qualche fragilità, ha reagito con carattere e con determinazione. E che ad oggi, eccezion fatta per la stringata nota di convocazione dello Psicologo, ancora non ha potuto accedere agli atti per comprendere la ragione della sconcertante vicissitudine patita.
Gli è stato anzi eccepito dal Questore che questi atti non sarebbero ostensibili perché (testuale) “contenenti informazioni sugli accertamenti medico legali, sulla salute e sulle condizioni psicofisiche del personale” (dimenticando che le informazioni sulla salute riguardavano il richiedente dell’accesso agli atti).
In pratica, secondo la stravagante tesi del Questore di Ancona, sarebbe possibile, se non addirittura doveroso, in spregio ai precisi dettami della norma sulla trasparenza degli atti della P.A., impedire a chi, in forza di un procedimento amministrativo, è stato sottoposto a controlli sanitari di conoscere le ragioni di tali accertamenti, e così pure l’esito degli stessi.
Una singolare impostazione, ci sia consentito, che non solo demolisce fondamentali istituti dello stato di diritto ma che, a nostro sommesso avviso, mal cela ad ogni evidenza il timore di vedere disvelati poco commendevoli intenti.
Detto che il collega ha comunque ritualmente impugnato questo aberrante rifiuto, proponendo ricorso alla Commissione per il diritto d’accesso, la gravità di quanto abbiamo avuto modo di ripercorrere nelle righe che precedono impone una immediata verifica ispettiva. Se non altro perché quanto accaduto, lungi dall’essere in sintonia con i protocolli predisposti dalla Direzione Centrale di Sanità, rappresenta un caso emblematico di come, non di rado, l’ambiente lavorativo possa essere non il rifugio ma l’origine di destabilizzazioni emotive.
Una dolorosa ferita alla credibilità dell’Amministrazione per denunciare la quale è stata indetta una pubblica protesta il prossimo 6 dicembre – alla quale prenderanno parte poliziotti di tutte le strutture marchigiane – che potrà rimarginarsi solo allorquando saranno rese note le responsabilità all’origine di questa incresciosa vicenda ed adottati i conseguenti provvedimenti.
Nelle more riteniamo sia il minimo sindacale che sia data, a noi ed al collega interessato, una immediata risposta circa il rifiuto alla consegna di tutta la documentazione che, per quello che ci è dato capire, è del tutto priva di fondamento e di ragionevolezza.
Insistiamo su questo punto perché, diversamente, dovremmo giungere alla amara conclusione che il Dipartimento intende asseverare l’operato del Questore di Ancona. Cosa che, attesa la valenza di una simile violazione, ci vedrebbe costretti ad innalzare anche il livello della contestazione, portando la mobilitazione a tutti i livelli necessari.
A margine sia poi consentita una digressione. I sintomi di sviate pressioni gerarchiche esercitate sui Medici della Polizia di Stato, non sono per noi inediti, e tantomeno lo è l’uso della sorveglianza sanitaria come arma di ritorsione. A titolo di esempio possiamo qui fare menzione del caso di un Vicario che, non soddisfatto dell’esito di un consiglio di disciplina, in cui, come raramente accade, anche i componenti nominati dall’Amministrazione si erano espressi a favore dell’incolpato, ha ritenuto di consumare la sua misera vendetta segnalando il collega interessato al Medico della Polizia di Stato in quanto, negli atti difensivi, aveva attribuito la mancanza per la quale si procedeva nei suoi confronti ad una momentanea mancanza di discernimento.
Tanto è bastato perché quel collega, nonostante quei fatti fossero accaduti oltre un anno prima, senza che mai avesse dato segno di difficoltà di sorta, gli è stato applicato il famigerato art. 48. E per sei mesi è stato collocato in congedo straordinario a disposizione della Commissione Medica Ospedaliera. E tutto questo per non aver scritto che aveva fatto una stupidaggine, ricercando forme espositive più raffinate.
Capricci come questo, riteniamo, che l’Amministrazione non se li possa più permettere. In ogni caso non siamo disposti ad accettare ulteriormente forme di malintesa tolleranza verso una perversa cultura radicata nei gangli dell’apparato, che rimedia alla carenza di autorevolezza imponendo prevaricanti forme relazionali.
Una cultura per estirpare definitivamente la quale non esiste che una plausibile soluzione, già da noi in più occasioni rappresentata, che passa per l’affrancamento dal giogo della subordinazione gerarchica del personale del ruolo sanitario. Sino a quando i Medici della Polizia di Stato saranno sottoposti al vincolo gerarchico dei dirigenti degli uffici territoriali questa perniciosa spirale non si potrà interrompere.
Ecco perché questo è per noi un obiettivo per raggiungere il quale, è bene chiarirlo, non siamo disposti a mediazioni.
E proprio perché, come detto in premessa, conosciamo la matrice che ha scandito il Suo percorso professionale, confidiamo di poterLa avere al nostro fianco in questo percorso di consolidamento della cultura riformista nella nostra Amministrazione emancipandola in quel percorso da tutti auspicato, almeno a parole, ma da non tutti praticato, come il caso in questione.
Certi di un Suo interessamento sul caso rappresentato, restiamo in attesa di un cortese cenno di riscontro”.