Mobbing: servono più condotte persecutorie

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Il mobbing non si configura quando si tratti di episodi saltuari riconducibili ad un normale rapporto di lavoro nel senso che, per integrare il mobbing, occorrono più condotte del datore di lavoro finalizzate a perseguitare il dipendente.

Il principio di diritto è stato cristallizzato dalla Cassazione nella Sentenza n. 21865/2022.
Protagonista della vicenda di fatto un medico che ha agito per il risarcimento del danno nei confronti di un’azienda ospedaliera perché riteneva di essere stato professionalmente dequalificato e di aver subito condotte illegittime da parte datore di lavoro.

La pretesa era rigettata sia dal Tribunale che dalla Corte d’appello che riteneva i fatti allegati del tutto insufficienti a configurare il mobbing perché avvenimenti episodici privi di un intento vessatorio e collegati a normali problematiche lavorative.

Il medico, non condividendo le conclusioni della Corte d’appello, ricorreva in cassazione.
I Giudici di Piazza Cavour ritenevano che la Corte d’Appello avesse considerato e valutato gli episodi indicati dal ricorrente, a sostegno della condotta mobilizzante del datore di lavoro, con adeguata motivazione, escludendo l’esistenza di un disegno persecutorio nei confronti del dipendente.

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Nella sentenza si legge che per giurisprudenza costante “ai fini della configurabilità di un’ipotesi di mobbing, non è condizione sufficiente l’accertata esistenza di una decodificazione o di plurime condotte datoriali illegittime, essendo a tal fine necessario che il lavoratore alleghi e provi, con ulteriori e concreti elementi, che i comportamenti datoriali siano il frutto di un disegno persecutorio unificante, preordinato alla prevaricazione.
È configurabile il mobbing lavorativo ove ricorra l’elemento obiettivo, integrato da una pluralità di comportamenti del datore di lavoro, e quello soggettivo dell’intendimento persecutorio del datore medesimo. Nell’ipotesi in cui lavoratore chieda il risarcimento del danno patito alla propria integrità psicofisica in conseguenza di una parità di comportamenti il datore di lavoro e dei colleghi di lavoro di natura asseritamente persecutoria, il giudice di merito è tenuto a valutare se i comportamenti denunciati possono essere considerati vessatori e mortificanti per il lavoratore e se siano causalmente ascrivibili a responsabilità del datore che possa essere chiamato a rispondere nei limiti dei danni a lui specificamente imputabili.”

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