Procedimento disciplinare: rimessione atti alla Consulta nella parte in cui si impone al dipendente P.S. di essere assistito da un “difensore poliziotto” – Tar Sicilia – Catania ord. nr. 180/07 del 8.03.2007

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Procedimento disciplinare: remissione atti alla Consulta nella parte in cui si impone al dipendente P.S. di essere assistito da un “difensore poliziotto”.

Così ha stabilito il TAR Catania che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, Dpr 737/81, per violazione degli artt. 3 e 24, co II della Costituzione, nella parte in cui impone al dipendente dell’Amministrazione della P.S., sottoposto a procedimento disciplinare, di essere assistito esclusivamente da un difensore appartenente all’Amministrazione medesima.

 

Tar Sicilia – Catania, III sez., ord. nr. 180/07 del 8.03.2007 – dep. 2.04.2007

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REPUBBLICA ITALIANA

Il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, Sezione staccata di Catania – sez. int. 3^ – composto dai Magistrati:

– Vincenzo SALAMONE – Presidente ff. rel. est.

– Salvatore SCHIILLACI – Consigliere

– Giovanni MILANA – Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso n. 805 del 2001 proposto da ….., rapp.to e difeso dagli avvti. ………..e ………….. nel cui studio è elett. dom. in Catania;

contro

– Il MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro p.t.;

– Il DIPARTIMENTO della PUBBLICA SICUREZZA del MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Direttore Generale p.t. rapp. e dif. ope legis dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Catania, domiciliataria;

per l’annullamento

del decreto 15.12.2000 n. 333-D/0166145 con il quale il Capo della Polizia – Direttore Generale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno – ha disposto la destituzione del ricorrente dall’Amministrazione della P.S. a decorrere dal 28.09.2000, nonché di ogni altro atto e comportamento connesso, collegato, presupposto, precedente e consequenziale.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione resistente;

Visti gli atti tutti della causa;

Designato relatore per la pubblica udienza del giorno 8 marzo 2007 il Consigliere Vincenzo Salamone;

Uditi i difensori delle parti come da verbale di pubblica udienza;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO

Con il ricorso si chiede l’annullamento del decreto 15.12.2000 n. 333-D/0166145 con il quale il Capo della Polizia – Direttore Generale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno – ha disposto la destituzione del ricorrente dall’Amministrazione della P.S. a decorrere dal 28.09.2000, nonché di ogni altro atto e comportamento connesso, collegato, presupposto, precedente e consequenziale.

Si premette che con sentenza del 16.06.98 il Tribunale di Agrigento aveva condannato il ricorrente alla pena, sospesa, di mesi nove di reclusione perché ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 479 c.p. per avere redatto una relazione di servizio con falso contenuto, laddove lo stesso aveva dichiarato di essere rimasto ferito da un colpo di pistola durante uno spontaneo intervento presso un’abitazione privata dove era in corso un furto ad opera di un soggetto rimasto ignoto, mentre in realtà il colpo di pistola era stato accidentalmente esploso dallo stesso …….

Tale sentenza era stata confermata dalla Corte d’Appello di Palermo con decisione dell’08.04.99 ed il ricorso avverso la stessa era stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione con sentenza del 15.05.2000.

Conseguentemente sottoposto a procedimento disciplinare, su conforme parere del 27.09.2000 del Consiglio Provinciale di disciplina, con decreto 15.12.2000 n. 333-D/0166145 del Capo della Polizia il ricorrente veniva destituito dall’Amministrazione della P.S. a decorrere dal 28.09.2000.

Tale decreto è stato impugnato davanti a questo Tribunale con ricorso n. 805/01; la domanda cautelare è stata rigettata con ordinanza n. 525/01 del 10.03.2001.

All’atto impugnato si muovono le seguenti censure:

1 – illegittimità, per violazione degli artt. 3 e 24 – 2° comma della Costituzione, dall’art. 20 del D.P.R. n. 737 del 1981 nella parte in cui impone al dipendente dell’Amm.ne della P.S. sottoposto a procedimento disciplinare di essere assistito esclusivamente da un difensore appartenente all’Amm.ne medesima; la sola possibilità, riconosciuta ai dipendenti dell’Amm.ne P.S., di farsi assistere davanti al Consiglio di disciplina da un difensore dipendente dell’Amm.ne medesima sarebbe incompatibile con il pieno esercizio del diritto di difesa riconosciuto dall’art. 24 Cost., che lo estende anche alla garanzia dell’assistenza tecnica che può, tipicamente e professionalmente, essere assicurata da un avvocato del libero Foro oltre che da un dipendente della P.A.;

2 – illegittimità, per violazione degli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, dell’art. 20 del D.P.R. n. 737 del 1981 nella parte in cui non prevede che la P.A. proceda alla nomina di un difensore d’ufficio al dipendente della P.S. che, sottoposto a procedimento disciplinare, non abbia provveduto a nominarne uno di fiducia; la giurisdizionalizzazione del procedimento disciplinare non consentirebbe, infatti, che l’incolpato rimanga privo di un difensore;

3 – illegittimità, per violazione degli arti. 3 e 24 della Costituzione, dell’art. 20 del D.P.R. n. 737 del 1981 nella parte in cui prevede che il difensore del dipendente dell Amm.ne P.S., sottoposto a procedimento disciplinare, non possa intervenire davanti al Consiglio di disciplina allorché il dipendente medesimo rimanga assente; il divieto si risolverebbe in una compressione delle attività difensive non assistita da alcuna finalità di pubblico interesse;

4 – illegittimità, per violazione degli artt. 3, 25 – 2° comma, 28 e 97 della Costituzione, dell’art. 7 del D.P.R. n. 737 del 1981 e dell’art. 9 della legge n. 19/90 in quanto la sanzione espulsiva non sarebbe riconnessa ad alcuna tipizzazione di atti illeciti che specificatamente la commini, essendo rimessa, invece, alla più ampia discrezionalità dell’Amm.ne, peraltro difficilmente censurabile in sede di tutela giurisdizionale; altresì, mentre alla condanna per delitto non colposo il 3° comma – n. 2 dell’art. 6 del D.P.R. n. 737 del 1981 riconnette la sanzione della sospensione dal servizio, la stessa sanzione potrebbe essere riservata in presenza di condanna per gravi reati, lasciando così aperta la porta per il passaggio della discrezionalità al libero arbitrio;

5 – violazione dell’ultimo comma dell’art. 19 del D.P.R. n. 737 del 1981 e l’omessa motivazione del provvedimento di trasmissione del carteggio dell’inchiesta al Consiglio provinciale di disciplina in quanto il Questore di Catania non avrebbe adempiuto all’obbligo di corredare con le “opportune osservazioni” il carteggio dell’inchiesta trasmesso al Consiglio di disciplina;

6 – violazione del 4° comma – lett. b) dell’art. 20 del D.P.R. n. 73 7/81 e l’eccesso di potere per erroneità dei presupposti in quanto sia il Funzionario istruttore, nella fase dell’inchiesta, che il Presidente del Consiglio di disciplina, nel corso della trattazione orale, averebbero omesso di rendere “noti i precedenti di servizio dell’inquisito” e, cioè, i dati positivi della sua attività, essendosi limitato il secondo a menzionare soltanto un provvedimento sanzionatorio a carico del ricorrente, peraltro sospeso da questo TAR con ordinanza n. 1392/2000;

7 – violazione dell’ultimo comma- lett. a) dell’art. 20 del D.P.R. n. 737 del 1981 e l’eccesso di potere in quanto agli atti del giudizio disciplinare (ed anche a quelli dell’inchiesta istruttoria) non sarebbe stato acquisito, nonostante apposita richiesta del difensore dell’inquisito, il fascicolo relative al procedimento penale celebrato a carico di quest’ultimo; su tale richiesta, che aveva natura di questione pregiudiziale, non sarebbe stata adottata alcuna formale decisione da parte del Consiglio di disciplina, che si sarebbe così sottratto all’onere di compiere, attraverso l’esame del predetto fascicolo, un’autonoma e sua propria valutazione dei fatti accertati in sede penale;

8 – eccesso di potere per omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione, per valutazione contrastante con i fatti e per illogicità manifesta e la violazione dell’art. 13 del D.P.R. n. 737 del 1981 nel presupposto che la misura sanzionatoria deve essere proporzionata all’infrazione accertata, per cui il Consiglio di disciplina averbbe dovuto tenere conto delle circostanze attenuanti, dei precedenti disciplinari e di servizio dell’inquisito, del carattere, dell’età, della qualifica e dell’anzianità di servizio dello stesso; tali dati, costituendo un limite alla discrezionalità della P.A., e imporrebbero alla stessa di circondare le sue determinazioni di pertinente motivazione che dia conto di come i predetti dati abbiano inciso nell’adozione del provvedimento finale;

9 – violazione dell’art. 1 – 2° comma e cpv del D.P.R. n. 737 del 1981 e dell’art. 7 della legge n. 241/90 e l’eccesso di potere per omessa motivazione e per violazione della discrezionalità in quanto il rispetto del principio di proporzionalità della sanzione sarebbe sindacabile dal Giudice Amm.vo allorché quest’ultima appaia manifestamente anomala rispetto all’infrazione commessa e non sia assistita, come nel caso di specie, da una adeguata motivazione che non può esaurirsi nella riproduzione di laconiche espressioni normative e, men che mai, nel richiamo a precedenti disciplinari privi del carattere della definitività;

10 – eccesso di potere per omessa motivazione sulla sussistenza dei nn. 1, 2 e 4 di cui all’art. 7 del D.P.R. n. 737 del 1981 in quanto l’impugnato decreto di destituzione non darebbe contezza dell’iter logico seguito non esplicitando in alcun modo in che cosa consisterebbe il grave pregiudizio subito dall’Amm.ne;

11 – violazione dell’art. 103 del D.P.R. n. 737 del 1981 in quanto sarebbe stato violato il principio dell’immediatezza della contestazione disciplinare, essendo questa intervenuta dopo ben cinque anni dall’accertamento del fatto.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Alla pubblica udienza del giorno 8 marzo 2007 la causa è passata in decisione.

DIRITTO

In relazione al primo (ed assorbente) motivo di censura va ritenuta rilevante al fine del decidere e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 24 – 2° comma – della Costituzione, dall’art. 20 del D.P.R. n. 737 del 1981 nella parte in cui impone al dipendente dell’Amm.ne della P.S. sottoposto a procedimento disciplinare di essere assistito esclusivamente da un difensore appartenente all’Amm.ne medesima.

La sola possibilità, riconosciuta ai dipendenti dell’Amm.ne P.S., di farsi assistere davanti al Consiglio di disciplina da un difensore dipendente dell’Amm.ne medesima sarebbe incompatibile con il pieno esercizio del diritto di difesa riconosciuto dall’art. 24 Cost., che lo estende anche alla garanzia dell’assistenza tecnica che può, tipicamente e professionalmente, essere assicurata da un avvocato del libero Foro oltre che da un dipendente della P.A.

La legittimità di una norma che, in sede di procedimento disciplinare, esclude che un dipendente della P.A. possa farsi assistere da un avvocato del libero Foro è stata esaminata dalla Corte Costituzionale che, con sentenza n. 497 del 16.11.2000, ne ha dichiarato l’incostituzionalità.

Con tale sentenza è stato infatti espunto dall’ordinamento giuridico il 2° comma dell’art. 34 del R. D. legislativo n. 511 del 1946 (guarantigie della Magistratura) che, al pari dell’art. 20 del D.P.R. n. 737 del 1981 imponeva all’incolpato di farsi assistere soltanto da un difensore appartenente alla sua Amministrazione.

Nell’esaminare la predetta norma, il Giudice dalle leggi ha affermato che la stessa aveva dismesso la sua originaria caratterizzazione corporativa per rispondere alla diversa ratio di una scelta dell’incolpato che doveva cadere su un collega, in quanto ritenuto in possesso dell’idoneità tecnica per assumerne la difesa.

Essendo questa l’unica ragione che può sorreggere anche la disposizione di cui all’art. 20 del D.P.R. n. 737 del 1981 non pare dubbio che alla stessa sono sovrapponibili le medesime considerazioni svolte dalla Corte Costituzionale sul 2° comma dell’art. 34 del D.Lgs. n. 511/1946.

Rimarrebbe priva di qualunque fondamento giustificativo la limitazione dell’ufficio difensivo ai soli appartenenti all’Amministrazione della P.S. e l’esclusione dallo stesso degli avvocati del libero Foro.

Peraltro, riguardata anche in punto di pubblico interesse e, tuttavia, pure nella prospettiva della persona incolpata e del suo diritto di difesa, la pienezza della tutela paragiurisdizionale è anche funzionale, a giudizio della sentenza n. 497/2000, alla migliore e più efficace realizzazione dell’interesse, eminentemente pubblico, al corretto e regolare svolgimento delle funzioni dell’Amministrazione della P.S. e del suo prestigio.

Anche nella vicenda in questione, il procedimento disciplinare incide sulla posizione del soggetto e ne coinvolge i beni della persona che richiedono, di per sè, le garanzie più efficaci con la conseguenza che il diritto di difesa non può prescindere, in primo luogo, dalla scelta del difensore che non possa subire limiti di sorta.

La posizione di estraneità del difensore esterno escluderebbe ogni sua soggezione ad alcuno dei poteri dell’Amm.ne della P.S., che possono invece condizionare l’operato del difensore interno.

Dette considerazioni, già avvalorate dalla precitata sentenza n. 497/2000, rendono non manifestamente infondata la richiesta di sottoporre al vaglio costituzionale la norma di cui all’art. 20 del D:P.R. n. 737/81.

Tale questione risulta avvalorata anche dalla circostanza che:

– per il personale appartenente al Corpo di polizia penitenziaria che si trovi sottoposto a procedimento disciplinare l’art.16 del D.Lgs. n.449/92 prevede la possibilità che lo stesso possa farsi assistere anche da un “legale” e, cioè, da un avvocato del libero foro;

– per il personale del settere del pubblico impiego “contrattualizzato” ll’art. 55 comma 5 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 non pone limiti alla nomina di un procuratore con funzione di difensore.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, Sezione staccata di Catania, sez. int. 3^, dichiara rilevante per la definizione del presente giudizio e non manifestamente infondata, nei termini di cui in motivazione, la questione di costituzionalità delle norme dell’art. 20 del D.P.R. 25 Ottobre 1981 n. 737, nella parte in cui impone al dipendente dell’Amm.ne della P.S. sottoposto a procedimento disciplinare di essere assistito esclusivamente da un difensore appartenente all’Amm.ne medesima; la sola possibilità, riconosciuta ai dipendenti dell’Amm.ne P.S., di farsi assistere davanti al Consiglio di disciplina da un difensore dipendente dell’Amm.ne medesima sarebbe incompatibile con il pieno esercizio del diritto di difesa riconosciuto dall’art. 24 Cost., che lo estende anche alla garanzia dell’assistenza tecnica che può, tipicamente e professionalmente, essere assicurata da un avvocato del libero Foro oltre che da un dipendente della P.A. per violazione degli artt. 3 e 24 – 2° comma – della Costituzione.

Sospende il presente giudizio e ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.

Manda alla Segreteria di provvedere alla notificazione della presente ordinanza alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei Ministri ed alla comunicazione della stessa ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.

Ordina che la presente ordinanza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2007.

IL PRESIDENTE ff. rel. est.

Dott. Vincenzo Salamone

 

Depositata in Segreteria il 02 aprile 2007

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