Requisito “situazione di gravità della disabilità” per esenzione dal lavoro notturno

1972
Necessario il requisito della “situazione di gravità della disabilità” per l’esenzione dal lavoro notturno

Il principio è stato ribadito dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda) con la Sentenza n. 08798/2022 del 17 ottobre 2022.

La menzionata decisione ha definito il ricorso proposto da un sovrintendente capo della Polizia di Stato per l’annullamento dei provvedimenti con cui gli era stata negata l’esenzione dal lavoro notturno, richiesta per assistere la propria coniuge, riconosciuta portatrice di handicap ai sensi dell’art. 3, comma 1, della l. 5 febbraio 1992, n. 104, per assenza del requisito della “gravità”.

Il Tribunale adito in primo grado aveva accolto il ricorso sull’assunto che nel silenzio della norma non è possibile introdurre surrettiziamente un requisito aggiuntivo (la gravità della situazione di disabilità).
Avverso tale pronuncia ha interposto appello il Ministero dell’interno, eccependo che il combinato disposto della previsione declinata dall’art. 53 del d.lgs. n. 151 del 2001 e del quadro sistematico riveniente dalla disciplina della l. n. 104 del 1992 implica necessariamente la grave situazione della persona che si deve assistere, presupposto fondante la concessione di tutti gli istituti contrattuali finalizzati allo scopo.

Ciò, secondo l’amministrazione appellante, avrebbe trovato da tempo conferma nella circolare n. 90 del 23 maggio 2007 dell’INPS e nella risoluzione datata 6 febbraio 2009 con la quale il Ministero del lavoro ha fornito risposta all’interpello n. 4/2009 di Confindustria avente ad oggetto proprio l’esatta accezione da attribuire alla dicitura «a proprio carico» utilizzata nel Testo unico del 2001 con riferimento al rapporto tra lavoratore e disabile. Nel silenzio del Dipartimento della Funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, che non ha, invece, inteso esprimersi in merito, benché formalmente richiesto, tale interpretazione sarebbe unanimemente in uso tra le forze di polizia, come documentato dalla circolare del 3 gennaio 2011 del Comando Generale della Guardia di finanza e dalle Linee guida dello Stato Maggiore della Difesa, edizione 2017, in materia di pari opportunità, tutela della famiglia e della genitorialità.

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Il Consiglio di Stato ha accolto l’appello ritenendolo fondato nel merito.

Nelle motivazioni della decisione, i giudici di Palazzo Spada, dopo aver effettuato la ricostruzione storico giuridica dell’istituto, osservano che il ricorso ad articolazioni dell’orario lavorativo che attingono la fascia notturna risponde a comprensibili esigenze di competitività ovvero di efficienza del servizio erogato, in particolare a cura di Amministrazioni preposte alla tutela della sicurezza del territorio, che devono pertanto trovare il giusto contemperamento con quelle contrapposte di tutela della salute del lavoratore, in adeguate politiche e strumenti normativi in grado di combinare i vari interessi in gioco, spesso in contraddizione tra loro.

Ciò premesso, il Collegio afferma di ritenere che “il più volte citato art. 53, comma 3, del d.lgs. n. 151 del 2001 non possa essere letto in maniera avulsa dal contesto normativo nel quale si inserisce, ovvero nell’ambito del regime delle tutele della genitorialità, all’interno del quale sono state innestate misure per i prestatori di assistenza ad un disabile, anche non genitori. L’infelice formulazione della norma, che nel riprodurre la previsione della legge comunitaria del 1998, come innestata in quella del 1977 sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro, non si è data cura di inserirvi l’esplicito richiamo al requisito della gravità, presente invece nell’art. 42 del medesimo Testo unico con riferimento all’istituto del congedo, non può certo risolversi nel generalizzato riconoscimento della fruizione del beneficio in relazione all’assistenza di un invalido purché sia, in assenza peraltro di qualsivoglia disciplina giuridica aggiuntiva (si pensi alla necessità della convivenza, comunque desumibile dal richiamo alla l. n. 104/1992 nel suo complesso, seppure nel caso di specie sussistente, essendo stato l’esonero richiesto per accudire la moglie, riconosciuta portatrice di handicap alcuni anni prima in quanto sottoposta ad intervento chirurgico per asportazione di carcinoma mammario, in attuale terapia ormonale)”.

Peraltro, secondo i giudici di appello, tale operazione ermeneutica non può essere tacciata di “”operare una sorta di indebita addizione interpolativa nel testo della norma in controversia, siccome affermato dal primo giudice…….. Laddove al contrario la lettura suggerita, oltre che irrazionale sul piano della coerenza di sistema, si paleserebbe, essa sì, indebitamente soppressiva di un’indicazione chiaramente fornita dal legislatore e non suscettibile di ignoranza da parte dell’interprete. Con ciò addivenendo anche alla conclusione – invero paradossale – che ai fini dell’ottenimento di un permesso orario, mensile, di un congedo e perfino della priorità nell’accesso al lavoro agile o ad altre forme di lavoro flessibile il lavoratore richiedente deve motivare avuto riguardo all’assistenza di una persona con disabilità in situazione di gravità, mentre ciò non sarebbe necessario in caso di richiesta di esonero dal servizio notturno””.

Sul piano normativo nazionale, osserva il collegio, una sovrapposizione in termini giuridici della nozione di disabile a quella di persona con handicap anche lieve di cui all’art. 3, comma 1, della l. n. 104 del 1992, costituisce una inammissibile semplificazione del complesso quadro delle tutele accordabili solo alle condizioni indicate dal legislatore.

Ritiene, dunque, il Consiglio di Stato che il regime dell’esonero dal servizio notturno del prestatore di assistenza, proprio in quanto replicato sia in sede di declinazione delle tutele genitoriali, sia in sede di disciplina dell’organizzazione dell’attività lavorativa, può essere fatto rientrare tra gli strumenti di tutela indiretta del disabile, al pari degli altri istituti più specificamente mirati allo scopo.

Pertanto, il rilievo costituzionale complessivo dell’interesse protetto giustifica l’obbligo a carico del datore di lavoro di assecondare la richiesta del proprio dipendente, ma solo laddove sia funzionale a ridetta necessità di assistenza, siccome declinata inequivocabilmente dalla l. n. 104 del 1992. Esso cioè non può essere inteso in senso assoluto e le esigenze di buon andamento della P.A. quale datore di lavoro, nel caso di specie concretizzantesi nella effettività del presidio del territorio cui gli organi di polizia sono preposti non può ritenersi sempre soccombente rispetto ad un’accezione di tutela del disabile, a così ampio spettro da prescindere dalle sue effettive esigenze di ausilio e supporto.

Ricorda, infine, il Consiglio di Stato che anche la più recente legislazione in materia di assistenza ai disabili, nel riconoscere e delineare normativamente la figura del caregiver (art. 1, commi 254-256 della legge n. 205 del 2017, legge di bilancio 2018), ovvero colui/colei che, a titolo gratuito, si prende cura in modo significativo e continuativo di un congiunto, presuppone la non autosufficienza di quest’ultimo a causa di una grave disabilità, individuata mediante rinvio ancora una volta all’art. 3, comma 3, della l. n. 104 del 1992.

Pertanto, la dicitura «a proprio carico» riferita al soggetto disabile per l’assistenza al quale si chieda l’esonero dai turni notturni utilizzata nell’art. 53 del d.lgs. n. 151 del 2001, non può non essere intesa nell’accezione etimologica, prima ancora che giuridica, di “necessitante di cura e assistenza” al punto tale da essere, appunto, “a carico” di chi gliela presta. Il che corrisponde all’assetto della materia riveniente dalla disciplina degli istituti di tutela indiretta del portatore di handicap declinati nella l. n. 104 del 1992, cui la norma fa espressamente rinvio, non senza aver richiamato l’analoga previsione di cui all’art. 5 della l. n. 903 del 1977. Circoscrivere il detto richiamo alla L. n. 104 del 1992 alla mera e generica definizione di persona handicappata contenuta nel solo comma 1 dell’art. 3, non solo contrasta con l’intero quadro normativo, anche eurounitario, ma stride con la formulazione letterale della disposizione stessa.

Di conseguenza la c.d. “vivenza a carico” che, in alcun modo può essere assorbita nel concetto di fiscalmente a carico, va interpretata, in coerenza con la legge, dando rilievo non al fatto che il lavoratore, o la lavoratrice, siano tenuti al mantenimento del disabile, ma al fatto che essi hanno compiti di assistenza nei suoi confronti ai sensi della l. n. 104 del 1992. Il che accade esclusivamente nel caso di gravità della relativa situazione cha ha legittimato o comunque legittimerebbe, la richiesta di fruizione anche delle ulteriori misure agevolative ivi previste.

Sulla base delle esposte motivazioni il Consiglio di Stato ha accolto l’appello e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, ha respinto il ricorso di primo grado.

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