Uno dei problemi più frequenti nel pubblico impiego è costituito dalla eccessiva durata delle procedure concorsuali, per cui molto spesso, alla conclusione di un concorso interno il dipendente viene inquadrato nella nuova qualifica con una decorrenza economica diversa e ritardata rispetto alla decorrenza giuridica.
Una recente Sentenza del TAR del Lazio affronta il problema della risarcibilità del danno rinveniente dall’eccessiva durata delle procedure concorsuali.
Si tratta della Sentenza n. 10025/2020 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Stralcio) relativa ad un concorso pubblico indetto dall’Amministrazione Finanziaria nel 1993 e conclusosi con l’approvazione della graduatoria nel febbraio 2001.
I ricorrenti lamentavano di essere stati destinatari della immissione nella nuova qualifica con decorrenza giuridica 21 maggio 1992 e decorrenza economica dal 25 febbraio 2002, data di effettiva immissione nelle funzioni corrispondenti alla medesima qualifica.
Per tale ragione, azionavano domanda risarcitoria per l’enorme ritardo con il quale era stata portata a termine la procedura concorsuale così provocando un ingiusto ed irreversibile pregiudizio per i ricorrenti, tenuto conto che la legge prevede che le procedure concorsuali per titoli si esauriscano entro sei mesi dalla data di prima convocazione della commissione esaminatrice e che l’irragionevole durata del concorso de quo, oltre a comportare una tardiva corresponsione delle differenze retributive, avrebbe anche loro precluso la chance di ottenere ulteriori avanzamenti di carriera.
Il Giudice amministrativo riteneva il ricorso fondato nei termini di seguito illustrati.
L’art. 11, comma 5, D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 (Regolamento sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e sulle modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nel pubblico impiego), prevede che: “Le procedure concorsuali devono concludersi entro sei mesi dalla data di effettuazione delle prove scritte o, se trattasi di concorsi per titoli, dalla data della prima convocazione. L’inosservanza di tale termine dovrà essere giustificata collegialmente dalla Commissione esaminatrice con motivata relazione da inoltrare alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica, o all’amministrazione o ente che ha proceduto all’emanazione del bando di concorso e per conoscenza al Dipartimento della funzione pubblica”.
L’art. 11, comma 5, D.P.R. n. 487 del 1994 è espressione di un principio generale per cui la durata delle operazioni concorsuali deve essere contenuta entro termini predeterminati e comunque ragionevoli, la cui violazione è senz’altro valutabile ex art. 2-bis, L. n. 241 del 1990, ai fini del risarcimento del danno subito dal vincitore della procedura selettiva per effetto del ritardo con cui è stato immesso nella nuova posizione lavorativa, con diritto a percepirne la retribuzione.
In linea generale, il Tribunale osserva che il risarcimento del danno da ritardo a provvedere non è correlato all’effetto del ritardo, ma al fatto che la condotta inerte o tardiva dell’Amministrazione abbia provocato un danno nella sfera giuridica del privato (Cons. Stato, sez. V, 26 marzo 2020 n. 2126).
Pertanto, condizione necessaria ma non sufficiente affinché sia configurabile tale responsabilità della pubblica amministrazione è il superamento del termine fissato per la conclusione del procedimento, che costituisce l’elemento oggettivo dell’illecito, ma non integra piena prova del danno (Cons. Stato, sez. VI, 14 novembre 2014 n. 5600; sez. VI, 10 giugno 2014 n. 2964). Infatti, l’accertamento della responsabilità dell’ente pubblico per danno da ritardo richiede anche la dimostrazione, a cura del ricorrente, dell’elemento soggettivo, del nesso di causalità tra fatto lesivo e danno ingiusto e, infine, dell’esistenza di quest’ultimo, da intendere come lesione alla posizione di interesse legittimo al rispetto dei predetti termini (Cons. Stato, sez. VI, 14 novembre 2014 n. 5600; in termini v. anche: Cons. Stato, sez. IV, 3 maggio 2019 n. 2886; sez. IV, 2 gennaio 2019 n. 20). Infine, proprio in ragione dell’ingiustizia del danno prodottosi per effetto del ritardo, il danno risarcibile presuppone la spettanza sostanziale ab initio del bene della vita, solo tardivamente riconosciuto dall’Amministrazione (Cons. Stato, sez. IV, 2 dicembre 2019 n. 8235).
Tanto premesso, in relazione all’elemento soggettivo la violazione del termine di conclusione del procedimento fa presumere la sussistenza della colpa, presunzione che può essere superata mediante la dimostrazione di un errore scusabile dell’Amministrazione – da ravvisarsi nell’esistenza di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una disposizione ovvero nella formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, nella rilevante complessità del fatto o anche nel sopravvenire di una dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata (cfr. Cons. Stato, sez. III, 6 maggio 2013 n. 2452; sez. V, 17 febbraio 2013 n. 798; sez. VI, 9 marzo 2007 n. 1114).
Nel caso di specie, poiché il Ministero resistente nulla ha eccepito in ordine alla presenza di tali esimenti, secondo il Tribunale può ritenersi provata anche l’esistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito. Peraltro, parte ricorrente ha comprovato che sul ritardo nella conclusione della procedura hanno influito illegittimità degli atti e delle operazioni concorsuali accertati in giudizio e cioè a dire condotte riconducibili all’esclusiva responsabilità del Ministero resistente e dei suoi organi.
Quanto al nesso di causalità, considerato che la vicenda di cui è causa consiste nella ritardata attribuzione della qualifica superiore (e dei relativi emolumenti) all’esito di un concorso riservato per soli titoli, non v’è dubbio che, in conseguenza dell’irragionevole protrarsi della procedura selettiva, i ricorrenti non abbiano potuto godere delle differenze retributive loro spettanti, a causa del sopravvenuto collocamento in congedo per raggiunti limiti di età(Cons. Stato, sez. VI, 14 novembre 2014 n. 5600).
In merito alla quantificazione del danno da ritardo, essendo i ricorrenti vincitori della procedura concorsuale riservata, in prima approssimazione, il pregiudizio da loro patito va individuato nelle differenze retributive e contributive tra la qualifica di appartenenza e quella successivamente conseguita (Cons. Stato, sez. VI, 14 novembre 2014 n. 5600).
Tuttavia, secondo i Giudici, tale affermazione deve essere contemperata con il principio generale, proprio del pubblico impiego privatizzato, per cui il diritto alle differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori è comunque correlato all’effettività della prestazione, dovendo essere la retribuzione commisurata alla qualità e quantità del lavoro prestato (Cass. civ., sez. lav., 16 gennaio 2020 n. 813).
Nel caso di specie, difettando l’effettiva immissione nelle superiori funzioni, il collegio ha stimato il danno riportato dai ricorrenti nella misura del trenta per cento delle differenze retributive loro spettanti a far data dal giorno successivo al decorso di sei mesi dalla prima riunione della commissione esaminatrice del predetto concorso, nominata con D.M. 22 febbraio 1994, n. 159299 e integrata con d.d. 20 maggio 1997 n. 155533, sino alla data del collocamento a riposo di ciascuno di essi.
Il tribunale ha poi escluso l’esistenza di ulteriori pregiudizi connessi alla perdita di chance di sviluppo professionale e di carriera. Infatti, la tecnica risarcitoria della perdita della chance garantisce l’accesso al risarcimento per equivalente solo se essa abbia effettivamente raggiunto un’apprezzabile consistenza, di solito indicata dalle formule probabilità seria e concreta o anche elevata probabilità di conseguire il bene della vita sperato; in caso di mera “possibilità” vi è solo un ipotetico danno, non meritevole di reintegrazione, poiché in pratica nemmeno distinguibile dalla lesione di una mera aspettativa di fatto (Cons. Stato, sez. V, 15 novembre 2019 n. 7845; conf. Cons. Stato, sez. IV, 23 settembre 2019 n. 6319; sez. V, 27 febbraio 2019 n. 1386).
Nel caso di specie, infatti, i ricorrenti non avevano fornito alcun elemento di prova sull’elevata probabilità di conseguire ulteriori avanzamenti, sì che le relative doglianze riguardano la lesione di un’aspettativa di fatto che, come tale, non è autonomamente risarcibile.