Alcuni nostri lettori ci chiedono chiarimenti in ordine ai periodi di sofferta sospensione cautelare dal servizio in pendenza di procedimenti innanzi all’Autorità giudiziaria, con particolare riguardo alla contribuzione previdenziale e alla natura dell’assegno alimentare.
Per i casi in cui pende un procedimento giudiziario, il datore di lavoro, se ritiene di non disporre di elementi sufficienti per comminare la sanzione, dopo aver avviato il procedimento disciplinare può sospendere il lavoratore in via cautelativa, in attesa della definizione del procedimento penale. Il dipendente sospeso cautelativamente dal servizio è privato dello stipendio e, durante il periodo di sospensione, percepisce un “assegno alimentare”, la cui misura è stabilita da disposizioni legislative o dai CCNL.
La disciplina della sospensione cautelare e la misura del trattamento erogato si rinvengono, per gli impiegati pubblici, in fonti normative generali (tra le quali, d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3; legge 7 febbraio 1990, n. 19; d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165; legge 27 marzo 2001, n. 97), in disposizioni speciali per alcune categorie di lavoratori, come per il personale delle Forze Armate e dei corpi di polizia nonché in disposizioni dei CCNL per il personale contrattualizzato.
Indicazioni in merito agli adempimenti e alle modalità di regolarizzazione, da parte del sostituto di imposta/datore di lavoro, sono state fornite dall’INPS con il messaggio n. 2161 del 29 maggio 2018, per i periodi di sospensione cautelare che si collocano nei periodi retributivi a decorrere da febbraio 2014 e che sono collegati a fatti per i quali pende un giudizio innanzi all’autorità giudiziaria.
L’assegno, in genere, non è superiore alla metà dello stipendio stesso, oltre gli assegni per carichi di famiglia. Lo stesso, fatte salve specifiche indicazioni, ai sensi dell’articolo 6, comma 2, del d.P.R. n. 917/1986 (TUIR), costituisce reddito di lavoro dipendente e, come tale, è da un lato assoggettato alla relativa tassazione e dall’altro imponibile ai fini previdenziali (circolare n. 326/E del 23 dicembre 1997, al punto 1.5, Ministero dell’economia e delle finanze).
Anche l’Istituto di Previdenza ha espressamente indicato l’assegno alimentare corrisposto durante il periodo di sospensione cautelare per procedimento giudiziario in corso, tra i redditi imponibili ai fini pensionistici (pensione e TFR/TFS) (circolare n. 6/2014), estendendo alla Gestione pubblica quanto previsto per le pensioni della Gestione privata, ai sensi dell’articolo 6, comma 2, del d.P.R. n. 917/1986 (TUIR).
La sospensione cautelare è una misura provvisoria e non ha natura sanzionatoria, essendo tesa a tutelare i tipici interessi amministrativi di credibilità dell’Amministrazione e di fiducia dei cittadini nelle istituzioni e negli apparati pubblici.
Per definire la valutabilità dei periodi in questione è necessario attendere la decisione definitiva dell’Amministrazione di appartenenza (art. 653 c.p.p. e art. 55-ter del d.lgs. n. 165/2001), decisione che consente di regolare in modo stabile il rapporto tra Amministrazione e lavoratore (Consiglio di Stato, Ad. plenaria, n. 8 del 6 marzo 1997), nel senso della restitutio in integrum o dell’applicazione di un provvedimento di licenziamento o destituzione.
Cessato il periodo di sospensione cautelare, nel caso “restitutio in integrum”, il lavoratore ha diritto al trattamento retributivo che avrebbe percepito se fosse rimasto in servizio. Dal trattamento spettante sarà portato in detrazione quanto corrisposto durante il periodo di sospensione cautelare, a titolo di assegno alimentare. In detto caso, con l’aggiornamento della posizione contributiva i periodi interessati saranno regolarmente utili ai fini pensionistici e dell’erogazione delle prestazioni di fine servizio (TFS/TFR) con l’asseveramento dei contributi sulle somme erogate per effetto della ricostruzione della carriera. Il periodo in cui il soggetto viene riammesso in servizio deve essere, dunque, computato relativamente al trattamento di quiescenza e previdenza (cfr. sul punto Consiglio di Stato, Sez. IV, 31 gennaio 2005, n. 251; Sez. VI, 20 ottobre 2005, n. 5907; Sez. VI, 25 giugno 2002, n. 3476).
Nel caso di licenziamento disciplinare o di destituzione, poiché detto provvedimento retroagisce alla data della sospensione cautelare, il periodo di sospensione non sarà considerato utile ai fini delle prestazioni di quiescenza e previdenza e l’Amministrazione recupererà i contributi versati.
Nei casi di destituzione con effetto non retroattivo, i periodi di sospensione cautelare dall’impiego che si collocano prima della data da cui decorre la destituzione, sono comunque utili al cinquanta per cento.
Il Consiglio di Stato (n. 1781/2010), in ragione della natura assistenziale e non retributiva dell’assegno alimentare ha precisato che le somme erogate a tale titolo al dipendente sospeso dal servizio non sono ripetibili in caso di intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro con decorrenza coincidente con la data della sospensione (C.d.S. IV, 23 novembre 1988, n. 890; 27 aprile 1993, n. 485; 24 gennaio 1990, n. 37; sez. VI, 12 febbraio 2001, n. 625).
La VI Sezione del Consiglio di Stato (decisione 2 maggio 2006, n. 2441), ha poi ulteriormente chiarito che “…l’assegno alimentare erogato al pubblico dipendente nel periodo di sospensione cautelare dall’impiego non è recuperabile in caso di intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro con decorrenza coincidente con la data di sospensione, riferendosi la previsione dell’articolo 97, comma 1, del T.U. 10 gennaio 1957, n. 3…al caso di revoca della sospensione cautelare con diritto del dipendente alla “restitutio in integrum” ed essendo tale disposizione insuscettibile di applicazione in via analogica all’ipotesi, del tutto diversa, in cui il rapporto di servizio non abbia a proseguire…È evidente che la deduzione dell’assegno alimentare di cui all’art. 97, comma 1, ultima parte, citato, trova giustificazione nell’esigenza che al ripristino della situazione economica dell’impiegato prosciolto, nell’ambito di un rapporto di servizio che prosegue e viene “ricostruito”, non si accompagni un arricchimento rispetto al trattamento percepibile in dipendenza della prestazione di lavoro…”
La retroattività del provvedimento di destituzione, infatti, non è di per sé idoneo a far venire meno il diritto dell’interessato ad ottenere la liquidazione dell’assegno alimentare di cui all’articolo 82 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, per il periodo in cui si è effettivamente protratta la sola sospensione dal servizio (Cass., 17 maggio 2022, n. 15799).