Transito nei ruoli civili dell’operatore di polizia risultato inidoneo sotto il profilo attitudinale

3077

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), investito dell’appello proposto dal Ministero dell’Interno per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna che, aveva accolto il ricorso di un dipendente della Polizia di Stato, annullando il provvedimento con cui era stata disposta la cessazione dal servizio del ricorrente anziché il suo trasferimento nei ruoli civili dell’amministrazione, come espressamente richiesto, ha disposto la rimessione degli atti all’adunanza plenaria. La decisione è oggetto dell’ordinanza 03940/2022 del 26 luglio 2022.

Il provvedimento è di fondamentale importanza, poiché investe il problema della differenza tra idoneità psico-fisica e idoneità attitudinale.

Nel caso in esame, la verifica del possesso dei requisiti psico-fisici e attitudinali era stata disposta all’esito della riammissione in servizio a seguito di revoca, per decorrenza del termine quinquennale di durata massima, della sospensione cautelare disposta ai sensi dell’art. 9, comma 1, del d.P.R. n. 737 del 1981.

Nel provvedimento in commento, il Consiglio di Stato, dopo aver ricostruito con estrema chiarezza il quadro normativo e giurisprudenziale, afferma di dubitare “dell’affermata inammissibilità del transito nei ruoli civili dell’operatore di polizia risultato inidoneo sotto il profilo attitudinale in corso di rapporto”.

I Giudici di Palazzo Spada spiegano che se “nessun dubbio può sussistere invero in ordine alla intrinseca differenza tra idoneità psico-fisica e idoneità attitudinale: quest’ultima, tuttavia, ad avviso della Sezione, altro non è che un particolare modo di atteggiarsi della personalità dell’individuo, afferente comunque alla sfera psicologica, la cui presenza è aggiuntivamente richiesta per precisati ambiti lavorativi, non essendo sufficiente la mera “normalità”, intesa quale assenza di malattie”.

Invero, precisa il collegio, con il termine “attitudine”, secondo un’accezione meramente letterale, deve infatti intendersi la predisposizione di una persona a una determinata attività mentale o fisica, o a un complesso di esse, comprensiva della vocazione o inclinazione in senso soggettivo, ma anche della capacità di calarla nella pratica dello specifico contesto di riferimento. Essa riassume cioè l’insieme delle caratteristiche, della personalità e del carattere, che si richiedono in ragione dell’attività connessa al ruolo cui si aspira. La circostanza che la mancanza di attitudine non incida in alcun modo sulle condizioni di salute e dunque sulla capacità lavorativa del dipendente dovrebbe permettere la concreta possibilità di riutilizzo del lavoratore.

Secondo quanto argomentato dal Consiglio di stato, nessuna limitazione della generale capacità lavorativa del soggetto sembrerebbe conseguire alla perdita della attitudine, proprio in quanto non riconducibile né in positivo, né in negativo alla sfera della patologia. La astratta possibilità «che il dipendente inidoneo reperisca un’attività lavorativa di altra tipologia da cui trarre mezzi leciti di sostentamento» evocata in alcune sentenze (ancora Cons. Stato, sez. III, n. 1255/2017) non può certo essere sufficiente a giustificarne la natura di elemento fondante ex se una causa di recesso, stante che analogo ragionamento finirebbe per valere in ogni caso di interruzione del rapporto di lavoro con dipendente “sano” , a prescindere dalla obiettiva difficoltà dello stesso, a maggior ragione con l’avanzare dell’età anagrafica, a reperire nuove opportunità occupazionali. Né a diverse conclusioni può addivenirsi sull’assunto che l’inidoneità psico-fisica non è dipesa dalla volontà dell’interessato a differenza di quella attitudinale, stante che al contrario tanto l’una quanto l’altra possono dipendere da fattori esterni, quali un episodio traumatico ovvero le modifiche delle proprie condizioni di vita, sociale o familiare.

Per tali ragioni, al fine di prevenire l’insorgere di contrasti giurisprudenziali, la questione viene deferita all’adunanza plenaria.

Le questioni rimesse dalla Sezione alla valutazione dell’Adunanza plenaria, ai sensi dell’art. 99, commi 1 e 5, del codice del processo amministrativo, sono le seguenti:

  1. se la inidoneità attitudinale sopravvenuta, in quanto modo di atteggiarsi della inidoneità psicologica, seppure soggetta ad autonomo accertamento, rientri nelle previsioni dell’art. 1 del d.P.R. n. 339 del 1982, che consente al lavoratore cui si riferisca l’accertamento di chiedere il transito nei ruoli civili dell’amministrazione di appartenenza o di altra;
  2. in caso negativo, ovvero se a ciò venga ritenuta ostativa la formulazione letterale della norma, se il regime giuridico di favore riconosciuto alla più grave ipotesi di inidoneità psicologica sfociata in una malattia, non si ponga in contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione, interpretato alla luce dell’obbligo di non discriminazione in ambito lavorativo di cui alla Direttiva 2000/78/CE del 27 novembre 2000, nonché se il non ottemperare al c.d. obbligo di repêchage contrasti con i principi a tutela del lavoro, configurando nei fatti un’ipotesi di recesso per giustificato motivo oggettivo non previsto espressamente dal legislatore;
  3. in caso affermativo, se la richiesta di transito sia espressione di un diritto soggettivo del dipendente, ovvero l’adesione alla stessa costituisca valutazione del tutto discrezionale dell’Amministrazione di appartenenza.

Sulla base di queste premesse si chiede all’Adunanza Plenaria l’affermazione di rilevanti principi di diritto o la definizione, in secondo grado, del giudizio.

Advertisement