Commette reato di peculato il dipendente pubblico che naviga su Internet in orario di lavoro per scopi personali, anche se non si ravvisano motivi sufficienti al licenziamento.
Il principio è stato recentemente espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza 40702/2023 del 5 ottobre 2023.
Gli Ermellini hanno, in particolare, sottolineato come si possa parlare di peculato nella Pubblica Amministrazione anche quando un dipendente sfrutta le risorse tecnologiche della PA per finalità personali, come la navigazione sul Web, sebbene non ci sia un danno economico. Il peculato è escluso solo se l’uso occasionale del bene di servizio non lede la funzionalità dell’amministrazione.
I giudici specificano che il danno economico può essere escluso perché la tariffa di navigazione è flat e non a consumo; tuttavia, l’uso eccessivo di Internet per ragioni personali comporta una distrazione per il lavoratore, che non esegue le sue mansioni e lede l’operatività dell’ufficio.
La sentenza della Cassazione, dunque, ha ritenuto legittimo il licenziamento del dipendente, reo di aver usato Internet per diverse ore sul lavoro, anche scaricando materiale sul pc aziendale.
Occorre ricordare come alcuni anni orsono, la stessa Cassazione, con sentenza n. 14862/2017 avesse stabilito la legittimità del licenziamento del lavoratore per abuso di Internet al lavoro.
Nel caso specifico l’aggravante era data dagli accessi indebiti alla rete anche in relazione a ai relativi tempi di collegamento non legati all’attività lavorativa svolta.