Costituzionalmente legittima la nuova disciplina della detenzione domiciliare Sostitutiva

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Il decreto legislativo n. 150 del 2022 non ha violato la legge delega nel disciplinare le modalità esecutive della nuova pena sostitutiva della detenzione domiciliare.

Lo ha stabilito la Corte costituzionale nella sentenza n. 84, depositata il 10 maggio 2024, con la quale ha dichiarato in parte inammissibili e in parte infondate una serie di questioni sollevate dalla Corte d’appello di Bologna che aveva eccepito, in riferimento agli artt. 3, 27 e 76 della Costituzione, la illegittimità costituzionale dell’art. 71, comma 1, lettere c), s) e v), del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), censurando alcuni aspetti della disciplina della pena sostitutiva della detenzione domiciliare ivi introdotta (segnatamente, la durata dell’obbligo di permanenza presso il domicilio designato per l’espiazione della pena; la possibilità di fruire di licenze; le conseguenze penali dell’ingiustificato allontanamento dal domicilio).

Il rimettente censurava in primo luogo – in riferimento agli artt. 3, 27 e 76 Cost. – l’art. 71, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 150 del 2022, nella parte in cui, modificando l’art. 56, primo comma, della legge n. 689 del 1981, stabilisce che la detenzione domiciliare sostitutiva comporti «l’obbligo di rimanere nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico o privato di cura, assistenza o accoglienza ovvero in comunità o in case famiglia protette, per non meno di dodici ore al giorno, avuto riguardo a comprovate esigenze familiari, di studio, di formazione professionale, di lavoro o di salute del condannato», prevedendo altresì che «In ogni caso, il condannato può lasciare il domicilio per almeno quattro ore al giorno, anche non continuative, per provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita e di salute, secondo quanto stabilito dal giudice».

Il «diritto del condannato a rimanere lontano dal luogo impostogli per l’espiazione della pena per dodici ore al giorno» e «comunque per almeno quattro ore al giorno», non troverebbe, secondo il giudice rimettente, riscontro nella disciplina prevista dagli artt. 47-ter, comma 4, e 47-quinquies, comma 3, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà). Tali disposizioni infatti – rispettivamente per la detenzione domiciliare “ordinaria” e per quella “speciale” – fanno obbligo al tribunale di sorveglianza di dettarne le modalità «secondo quanto stabilito» per gli arresti domiciliari dall’art. 284 cod. proc. penale e, dunque, escludono «qualunque possibilità di allontanamento […] che non sia giustificato dall’impossibilità da parte del condannato di provvedere in altro modo (ricorrendo cioè anche all’aiuto di terzi) alle proprie indispensabili esigenze di vita o dalla necessità di esercitare un’attività lavorativa qualora versi in una situazione di assoluta indigenza».

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La disciplina introdotta dall’art. 71, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 150 del 2022 creerebbe, inoltre, «proprio ciò che il criterio di delega mirava ad impedire», ossia una irragionevole disparità di trattamento nelle modalità di esecuzione della detenzione domiciliare, a seconda che essa sia adottata quale pena sostitutiva, o quale misura alternativa della detenzione, a dispetto della «omogeneità dello status» tra condannati che fruiscano dell’una o dell’altra misura, con conseguente violazione anche dell’art. 3 Cost.

Rispetto alle eccezioni del rimettente, la Consulta ha sottolineato che la riforma del 2022 mira a rivitalizzare le pene sostitutive delle detenzioni di breve durata, i cui effetti desocializzanti sono da tempo noti, specie nel contesto di significativo sovraffollamento in cui, nuovamente, versano le carceri italiane.

La Corte ha evidenziato che le pene sostitutive sono ispirate al principio secondo cui il sacrificio della libertà personale va contenuto entro il minimo necessario, oltre che alla necessaria finalità rieducativa della pena sancita dall’art. 27 della Costituzione.

Inoltre, la loro previsione incentiva l’imputato a definire il processo con un rito semplificato, e in particolare con il patteggiamento: il che contribuisce ad alleggerire i carichi del sistema penale, in funzione dell’obiettivo di assicurare a tutti tempi più contenuti di definizione dei processi.

Infine, le pene sostitutive garantiscono risposte certe, rapide ed effettive al reato, ancorché alternative al carcere, dal momento che sono immediatamente esecutive non appena la sentenza di condanna passa in giudicato. E ciò̀ a differenza di quanto accade rispetto alle pene detentive di durata non superiore a quattro anni, che restano di regola sospese anche per vari anni, sino a che il tribunale di sorveglianza non decida sulla richiesta del condannato di essere ammesso a una misura alternativa alla detenzione. Con la conseguenza che circa novantamila persone in Italia sono oggi “liberi sospesi”: e cioè̀ condannati in via definitiva, che però non sono sottoposti allo stato ad alcuna misura restrittiva, in attesa della decisione del tribunale di sorveglianza.

Secondo la Corte, la disciplina della pena sostitutiva della detenzione domiciliare risponde agli obiettivi generali della legge delega, che prescriveva al Governo di mutuare la disciplina prevista, in fase esecutiva, per l’omonima misura alternativa della detenzione domiciliare, ma soltanto “in quanto compatibile” con tali obiettivi.

In particolare, la previsione, da parte del legislatore della riforma, di un più̀ favorevole regime del limite minimo di permanenza nel domicilio (almeno dodici al giorno), così come di un’ampia possibilità di uscire dal domicilio stesso in relazione a “comprovate esigenze familiari, di studio, di formazione professionale di lavoro o di salute”, è coerente – ha osservato la Corte – con la spiccata funzionalità rieducativa di questa pena sostitutiva, che prevede uno specifico programma di trattamento elaborato dall’Ufficio di esecuzione penale esterna, che prende in carico il condannato. Ciò appare conforme all’idea – che è alla base della riforma – di una “pena-programma” caratterizzata da elasticità nei contenuti, perché́ funzionale alla individualizzazione del trattamento sanzionatorio, in modo da garantire la risocializzazione del condannato e, assieme, una più̀ efficace tutela della collettività.

(fonte: Corte Costituzionale)

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