Chiarimenti – Ricorso Risarcimento Danni per mancata attuazione previdenza complementare

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A beneficio di chi continua a chiederci chiarimenti sulla sorte del contenzioso relativo alla mancata attivazione della previdenza complementare, ricordiamo che dopo il rigetto dei nostri ricorsi da parte della IV sezione del TAR di Roma, considerato che anche altre sezioni dello stesso Tribunale avevano rigettato analoghe domande condannando i ricorrenti alla rifusione delle spese legali a favore delle amministrazioni intimate, avevamo ritenuto prudente rinunciare a tutti gli altri ricorsi da noi presentati con lo stesso oggetto e, al momento pendenti, proprio allo scopo di evitare ulteriori soccombenze con conseguenti condanne a spese di lite o addirittura per “responsabilità aggravata”. (https://siulp.it/rinuncia-ricorso-risarcimento-danni-per-mancata-attuazione-previdenza-complementare/).

La nostra scelta di non proseguire il contenzioso si è rivelata saggia e opportuna alla luce degli ultimi sviluppi giurisprudenziali.

Invero, con la decisione n. 07023/2025 del 12 agosto 2025, il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), ha irreversibilmente definito il contenzioso riguardante la mancata attivazione della previdenza integrativa per il personale della Polizia di Stato, rigettando il ricorso proposto da un nutrito gruppo di colleghi che avevano impugnato la sentenza n. 3422/2024 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quarta) che aveva, nella fase di primo grado, respinto la richiesta di accertamento del diritto al risarcimento dei danni subiti e subendi, in conseguenza della mancata attuazione delle forme pensionistiche complementari previste dalla L. 8 agosto 1995, n. 225, da quantificarsi in misura corrispondente ai rendimenti non realizzati nonché all’adozione di ogni misura idonea a reintegrare la loro posizione previdenziale.

Il Collegio, nel prendere atto dell’ormai consolidato orientamento che ha escluso la legittimazione dei singoli dipendenti a far accertare l’obbligo delle Amministrazioni di provvedere all’attuazione della previdenza complementare, ha ribadito il principio che i dipendenti pubblici destinatari dell’attività contrattuale collettiva o del decreto presidenziale di recepimento degli esiti della procedura di concertazione sono titolari di un interesse del tutto indiretto e riflesso, e non già di un interesse concreto, attuale e direttamente tutelabile in ordine all’avvio e conclusione dei procedimenti negoziali in questione, appartenenti in via esclusiva alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (per quanto attiene alle Forze di Polizia ad ordinamento civile) e ai Comitati centrali di rappresentanza, quali organismi esponenziali d’interessi collettivi (per quanto attiene alle Forze di Polizia ad ordinamento militare e al personale delle Forze Armate), chiamati entrambi a partecipare ai predetti procedimenti negoziali. In particolare, la legittimazione a far valere eventuali inadempimenti dell’obbligo di adozione dei provvedimenti in questione, in ragione della natura normativa dell’atto conclusivo, destinato a disciplinare una serie indeterminata di rapporti di pubblico impiego, non spetta al singolo dipendente non essendo lo stesso titolare di un interesse personale, concreto ed attuale, specificamente tutelato dalla norma attributiva del potere (ex plurimis Cons. di Stato, Sez. II, n. 10803/2022; Id. n. 5697/2011 e n. 5698/2011; n. 502/2014 e n. 503/2014; n. 8440/2021; n. 2593/2022).

Nella propria decisione il Consiglio di Stato richiama la precedente sentenza n. 10803/2022, ove chiarisce che “..nel caso di specie, è la disciplina legislativa che attribuisce la materia alla contrattazione e alla concertazione sindacale, con ciò sottraendola alle posizioni soggettive dei singoli dipendenti, i quali pacificamente, anche nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, non possono intraprendere autonome azioni per la tutela di posizioni affidate alla contrattazione collettiva, ad esempio per eventuali aumenti retributivi o per la rimodulazione dell’orario di lavoro negli ambiti di competenza della contrattazione.”

Per quel che concerne, poi, la richiesta di risarcimento del danno derivante dal mancato compimento delle attività necessarie all’attuazione della previdenza complementare, la giurisprudenza afferma che “(…) il sistema della previdenza complementare è stato integralmente rimesso alle procedure di negoziazione e di concertazione, con la conseguenza che le Amministrazioni (…) non hanno alcun autonomo obbligo di provvedere, non potendo unilateralmente disciplinare la materia né, peraltro, sono previsti termini nei quali debba essere data attuazione alla detta previdenza complementare; con conseguente infondatezza della domanda per l’accertamento dell’obbligo di provvedere e di conseguenza della domanda risarcitoria, non sussistendo alcun ritardo dell’Amministrazione convenuta e non avendo i dipendenti alcuna posizione immediatamente tutelabile nei confronti dell’Amministrazione, ma rimanendo l’intera disciplina attribuita all’attività negoziale nell’ambito della rappresentanza sindacale” (Cons. Stato, n. 2593 del 2022, cit., Id. Cons. Stato, n. 10803/2022).

Dette conclusioni, sull’assenza di un autonomo obbligo di provvedere in capo alle Amministrazioni, alla luce del sottostante quadro normativo sono, secondo l’alto consesso giurisdizionale amministrativo, pienamente estensibili alla controversia in esame.

Interessante è la ricognizione normativa effettuata dai Giudici di Palazzo Spada i quali ricordano che in base all’art. 59 comma 56 della L. 27 dicembre 1997, n. 449 “fermo restando quanto previsto dalla L. 8 agosto 1995, n. 335, e successive modificazioni, in materia di applicazione delle disposizioni relative al trattamento di fine rapporto ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni, al fine di favorire il processo di attuazione per i predetti delle disposizioni in materia di previdenza complementare viene prevista la possibilità di richiedere la trasformazione dell’indennità di fine servizio in trattamento di fine rapporto. Per coloro che optano in tal senso una quota della vigente aliquota contributiva relativa all’indennità di fine servizio prevista dalle gestioni previdenziali di appartenenza, pari all’1,5 per cento, verrà destinata a previdenza complementare nei modi e con la gradualità da definirsi in sede di specifica trattativa con le organizzazioni sindacali dei lavoratori”.

L’art. 67 del d.P.R. 16 marzo 1999, n. 254, “Recepimento dell’accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e del provvedimento di concertazione delle Forze di polizia ad ordinamento militare relativi al quadriennio normativo 1998-2001 ed al biennio economico 1998-1999”, ha previsto che le procedure di negoziazione e di concertazione attivate, per la prima applicazione, ai sensi del citato articolo 26, comma 20, della L. n. 448 del 1998, provvedono a definire:

  1. la costituzione di uno o più fondi nazionali pensione complementare per il personale delle Forze armate e delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare, ai sensi del D.Lgs. n. 124 del 1993, della L. n. 335 del 1995, della L. n. 449 del 1997 e successive modificazioni ed integrazioni, anche verificando la possibilità di unificarlo con analoghi fondi istituiti ai sensi delle normative richiamate per i lavoratori del pubblico impiego;
  2. la misura percentuale della quota di contribuzione a carico delle Amministrazioni e di quella dovuta dal lavoratore, nonché la retribuzione utile alla determinazione delle quote stesse;
  3. le modalità di trasformazione della buonuscita in trattamento di fine rapporto, le voci retributive utili per gli accantonamenti del trattamento di fine rapporto, nonché la quota di trattamento di fine rapporto da destinare a previdenza complementare.

Da tale disciplina risulta evidente che non sussiste alcun autonomo obbligo di provvedere in capo alle Amministrazioni pubbliche, in assenza della definizione della materia in sede di contrattazione collettiva e, nel caso dei militari, delle specifiche procedure di concertazione, ai sensi del d.lgs. n. 195 del 1995.

Sulla base di quanto precede il Consiglio di Stato ha escluso la sussistenza, in capo alle Amministrazioni intimate, di un obbligo di avviare il procedimento di concertazione, ai sensi dell’art. 7 del d.lgs. n. 195 del 1995 e della conseguente responsabilità per il danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.

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