Commenti offensivi social rischio diffamazione aggravata

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Ultimo aggiornamento 12/03/2021

Chi posta commenti offensivi sui social rischia la diffamazione aggravata

E’ importante non lasciarsi coinvolgere in battibecchi sui social perché lanciare in rete post offensivi può costare una condanna per diffamazione aggravata dall’uso del mezzo di pubblicità.

Il reato è quello previsto dall’articolo 595, comma 3, del Codice penale che punisce (con la reclusione da sei mesi a tre anni o con la multa minima di 516 euro) chi offenda l’altrui reputazione comunicando con un mezzo di pubblicità. Per i giudici, infatti, anche un messaggio postato a un gruppo limitato di amici ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone.

E’, invero, molto probabile che uno sfogo irrazionale possa sconfinare in crimine se – per tenore letterale o contenuto – si oltrepassino i limiti del rispetto delle persone coinvolte.

A stabilire i confini tra commenti solo inopportuni e le fattispecie di reato è la giurisprudenza.

Scatta la diffamazione aggravata, ad esempio, per chi con un post visibile a tutti i suoi contatti offenda l’ex accusandolo di non contribuire al mantenimento dei figli (Tribunale di Torino, 299/2020).

Stessa sorte per la moglie separata che in bacheca, considerata luogo aperto al pubblico poiché fruibile dagli iscritti al social, insulti il marito qualificandolo come «un miserabile» bisognoso di cure psichiatriche (Corte d’appello di Cagliari, 257/2020) o per chi, nella spasmodica ricerca di «giustizia nel placet di un esercito virtuale di utenti», denigri una professoressa sul piano familiare, privato e lavorativo (Tribunale di Ascoli Piceno, 90/2020).

Condannato anche chi – riferendosi alla vicenda di un operaio di uno stabilimento siderurgico tragicamente morto sul lavoro – pubblichi sul suo profilo pesanti offese a un sindacalista definendolo «viscido e senza spina dorsale» (Tribunale di Taranto, 123/2020).

Diffamatorio, inoltre, il commento che marchi un giornalista come uno «pseudo giornalaio (…) pagato per blaterare» per infangarne la reputazione e offuscarne il patrimonio intellettuale, politico, religioso, sociale e ideologico (Tribunale di Campobasso, 43/2020).

Il reato si configura se le espressioni adoperate sono tali da gettare una luce oggettivamente negativa sulla vittima. Sfuggirà a responsabilità penale, pertanto, chi – interagendo sulla piattaforma di Youtube – auguri a un dottore che aveva rilasciato un’intervista critica sull’omosessualità che le figlie siano lesbiche e sposino dei gay, eventualità che nella realtà non riveste un connotato spregevole (Cassazione, 17944/2020).

Del resto, il bene protetto è l’onore “sociale”, ossia la reputazione di qualcuno in un certo gruppo e in un particolare contesto storico.

Commette diffamazione aggravata l’ex moglie che si affidi a un social, canale accessibile da una serie indeterminata o quantitativamente apprezzabile di persone, per diffondere messaggi offensivi nei confronti del marito separato accusandolo di non provvedere a sé e ai figli. (Tribunale di Torino, sentenza 299 del 21 gennaio 2020)

Scatta la diffamazione aggravata per chi, per suo livore, discrediti sul piano personale, familiare e professionale una docente, attribuendole condotte molto gravi e di contenuto denigratorio per cercare giustizia nel placet di un esercito virtuale di utenti che lo sostengano. (Tribunale di Ascoli Piceno, sentenza 90 dell’11 maggio 2020)

Se si chiede il risarcimento del danno in sede civile, la valutazione va fatta in base a entità e diffusione del messaggio e l’importo va calcolato in via equitativa. Per presumerlo basta comunque l’avere postato l’offesa via Facebook, veicolo idoneo a diffonderla ben oltre la cerchia degli “amici” dell’offeso. Tribunale di Vicenza, sentenza 1673 del 5 ottobre 2020

È superflua la rogatoria internazionale nella sede Usa di Facebook per poter dimostrare la paternità di un post diffamatorio se l’imputato lo abbia firmato, diffuso su siti online di libero accesso e, ricevuta la diffida dalla persona offesa, abbia provveduto a rimuovere lo scritto denigratorio.

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