Costituzionalmente legittima la norma che subordina la domanda di una istanza di prelievo

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Costituzionalmente legittima la norma che subordina la domanda ex legge Pinto, per l’eccessiva durata di un processo amministrativo, alla presentazione, nei termini previsti, di una istanza di prelievo

La Corte Costituzionale, con la Sentenza n. 107/2023 – Camera di Consiglio del 22 marzo 2023 – Decisione del 11 maggio 2023 – Deposito del 1° giugno 2023, Pubblicata in G.U., ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, della legge n. 89 del 2001, nella parte in cui dispone – attraverso il richiamo all’art. 1-ter, comma 3, come modificato dall’art. 1, comma 777, della legge n. 208 del 2015 – l’inammissibilità della domanda di equa riparazione per l’eccessiva durata di un processo amministrativo, nel caso di mancata presentazione, quale «rimedio preventivo», dell’istanza di prelievo di cui all’art. 71, comma 2, cod. proc. amm. almeno sei mesi prima che sia trascorso il «termine ragionevole» di cui all’art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001.

La questione era stata eccepita dalla Corte d’appello di Bologna in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione ai parametri Europei.

Secondo il giudice rimettente, la presentazione dell’istanza di prelievo costituirebbe un adempimento formale, rispetto alla cui inosservanza la sanzione di inammissibilità della domanda di indennizzo non risulterebbe coerente né con l’obiettivo del contenimento della durata del processo, né con il rimedio indennitario per il caso di sua eccessiva durata.

Per tale ragione lo stesso giudice ha eccepito la legittimità costituzionale della rimodulazione della legge n. 89 del 2001 ad opera della legge n. 208 del 2015, là dove, a decorrere dal 1° gennaio 2016, ha introdotto la proposizione dell’istanza di prelievo, di cui all’art. 71, comma 2, cod. proc. amm., quale rimedio preventivo da esperire prima dello scadere dei termini di cui all’art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001, in modo da condizionare l’ammissibilità della domanda di equo indennizzo per la durata non ragionevole del processo amministrativo.

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Il giudice delle leggi ha ritenuto non fondata la questione secondo il seguente articolato ragionamento.

L’istanza di prelievo di cui all’art. 71, comma 2, cod. proc. amm. è una domanda indirizzata al presidente della sezione del TAR o del Consiglio di Stato adito dalla parte ricorrente, presentata successivamente all’istanza di fissazione dell’udienza di discussione di cui all’art. 71, comma 1, cod. proc. amm., con cui la parte chiede che il ricorso venga trattato tempestivamente, alla luce delle ragioni d’urgenza segnalate nell’istanza stessa. La finalità dell’istanza è quella di ottenere dal presidente una deroga al criterio cronologico che regola, ai sensi dell’art. 8, comma 1, dell’Allegato 2 al cod. proc. amm., l’ordine di fissazione della trattazione dei ricorsi.

La legge n. 208 del 2015 ha inserito nel codice del processo amministrativo l’art. 71-bis, rubricato «Effetti dell’istanza di prelievo», che ha introdotto un nuovo, possibile effetto nascente dall’accoglimento dell’istanza. Secondo tale disposizione, nel caso di presentazione dell’istanza ex art. 71, comma 2, cod. proc. amm., «il giudice, accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria, sentite sul punto le parti costituite, può definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata».

In relazione alla presentazione dell’istanza di prelievo nel processo amministrativo, «per la giurisprudenza europea il rimedio interno deve garantire la durata ragionevole del giudizio o l’adeguata riparazione della violazione del precetto convenzionale ed il rimedio preventivo è tale se efficacemente sollecitatorio». Tanto premesso, i giudici della Consulta ricordano di essere pervenuti alla declaratoria di illegittimità costituzionale del comma 2 dell’art. 54 del d.l. n. 112 del 2008, come convertito e successivamente modificato, considerando che l’istanza di prelievo – da detta norma disciplinata «prima della rimodulazione, come rimedio preventivo, operatane dalla legge n. 208 del 2015» – non costituiva un adempimento necessario. Esso rappresentava, infatti, «una mera facoltà del ricorrente […] con effetto puramente dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera “prenotazione della decisione” (che può comunque intervenire oltre il termine di ragionevole durata del correlativo grado di giudizio), risolvendosi in un adempimento formale, rispetto alla cui violazione la, non ragionevole e non proporzionata, sanzione di improponibilità della domanda di indennizzo risulta non in sintonia né con l’obiettivo del contenimento della durata del processo né con quello indennitario per il caso di sua eccessiva durata» (sentenza n. 34 del 2019).

Con riferimento a uno dei rimedi introdotti per il processo civile dalla legge n. 208 del 2015, quali condizioni di ammissibilità della domanda di equo indennizzo, esso è stato invece ricondotto, per l’effetto acceleratorio della decisione che può conseguirne, alla categoria dei «rimedi preventivi volti ad evitare che la durata del processo diventi eccessivamente lunga» (sentenza n. 121 del 2020).

Alla luce dei richiamati precedenti, la Corte rileva che, diversamente dalla fattispecie regolata dall’art. 54, comma 2, del d.l. n. 112 del 2008, come convertito e successivamente modificato, ove la presentazione dell’istanza di prelievo aveva una finalità meramente sollecitatoria, il rimedio introdotto per il processo amministrativo dalla legge n. 208 del 2015 non ha una funzione «puramente dichiarativa», in quanto può portare alla definizione celere del giudizio attraverso l’utilizzo di un «modello procedimentale alternativo», dato, ex art. 71-bis cod. proc. amm., dalla decisione del ricorso in camera di consiglio con sentenza in forma semplificata.

Dunque, tale rimedio, introdotto dal legislatore nel 2015, costituisce uno strumento funzionale al raggiungimento dello scopo di una più rapida definizione del giudizio.

L’attribuzione al collegio adito della scelta sul modello procedimentale alternativo tutela tutte le parti del giudizio e garantisce che la decisione sul rito contemperi le esigenze di sollecita trattazione, poste in risalto dall’istanza, con il pieno dispiegarsi dell’attività difensiva, alla luce della complessità della vicenda controversa.

Dalle ragioni che precedono discende l’infondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale.

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