Diversa disciplina ruolo straordinario ad esaurimento Carabinieri e Polizia

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Ultimo aggiornamento 23/01/2021

Legittima la diversa disciplina del ruolo straordinario ad esaurimento dell’Arma dei Carabinieri rispetto a quello della Polizia di Stato

Non è illegittima, per disparità di trattamento, la diversa disciplina del ruolo straordinario ad esaurimento dell’Arma dei Carabinieri rispetto a quello della Polizia di Stato.

Il principio è enunciato dal Cons. St., sez. I, con il parere del 15 ottobre 2020, n. 1585 reso nell’Adunanza del 14 ottobre 2020 (n. affare 00881/2020), in relazione al Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto da un gruppo di tenenti dell’Arma dei Carabinieri per l’annullamento della comunicazione concernente la promozione al grado di tenente con anzianità assoluta 31 dicembre 2018.

I Ricorrenti, nel premettere di aver frequentato il primo corso formativo per l’accesso al grado di sottotenente del ruolo straordinario ad esaurimento dell’Arma dei Carabinieri di cui all’art. 2212-quaterdecies del d.lgs. n. 66/2010, recante il codice dell’ordinamento militare (COM), eccepivano l’illegittimità della determinazione dell’anzianità assoluta nel nuovo grado così conseguito, per violazione del principio di equiordinazione rispetto agli omologhi della Polizia di Stato, i quali raggiungerebbero il grado di commissario – equivalente, ex art. 632 COM, a quello di tenente – “in soli 3 mesi di permanenza nel grado (eventualmente elevabile di ulteriori 6 mesi) piuttosto che in un anno”.

Di qui l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 2212-quinquiesdecies d.lgs. n. 66/2010 per eccesso di potere per disparità di trattamento, ingiustizia manifesta e violazione del principio di trasparenza dell’attività amministrativa ex art. 97 Cost., Violazione di legge.

In breve, la questione così come rappresentata consiste nel fatto che, mentre per il personale della Polizia di Stato il superamento dell’esame finale del corso per l’equivalente ruolo (Commissari ruolo esaurimento) costituisce requisito per l’avanzamento alla qualifica di commissario, nel caso dell’Arma dei Carabinieri la promozione al grado di tenente si ottiene per anzianità, dopo un anno di permanenza nel grado di sottotenente (che si ottiene, come ricordato, in esito al superamento del citato concorso per titoli).
Inoltre, nel caso della Polizia di Stato è previsto che la promozione alla qualifica di commissario capo venga ottenuta dal personale interessato dopo due anni e tre mesi dalla promozione a commissario a ruolo aperto, mediante scrutinio per merito assoluto.

Nel caso degli omologhi dell’Arma, la corrispondente promozione al grado di capitano viene – invece ed in sintesi – conseguita anche in questo caso per anzianità, con una permanenza (minima) di due anni nel grado di tenente.

Al riguardo, il Consiglio di Stato ha rilevato, in base alla normativa dedicata, che peraltro, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, il periodo minimo di permanenza nella qualifica di vice commissario con riferimento al personale ammesso a frequentare il primo corso di formazione (per 1.500 unità) non è di tre mesi, dal momento che la norma stessa prevede che tra la fase applicativa e quella prettamente formativa debbano intercorrere “almeno sei mesi”. Inoltre la medesima disposizione non è riportata anche in ordine ai vincitori del secondo concorso (per 300 unità), i quali però conseguono la promozione alla qualifica di commissario capo dopo quattro anni (anziché due anni e tre mesi) di effettivo servizio come commissario.

A ben vedere, quindi, l’asserito “vantaggio” di alcuni mesi previsto per i vice commissari della Polizia di Stato nella promozione a commissario viene del tutto “compensato” in ragione della più lunga permanenza in tale qualifica per il raggiungimento di quella superiore di commissario capo, circostanza ancor più evidente nel caso dei frequentatori del secondo corso, i quali, come si è detto, permangono decisamente più a lungo (quattro anni) nella qualifica di commissario prima di accedere a quella successiva.

Appare, dunque, evidente, Secondo la Sezione prima del Consiglio di Stato, come il legislatore, nell’ambito di una legittima scelta di politica legislativa, abbia introdotto detti particolari ruoli prevedendo regole di accesso e sviluppo di carriera simili ma non perfettamente sovrapponibili.

In altri termini, quindi, il legislatore ha nella circostanza ritenuto di disciplinare detti ruoli a esaurimento di Polizia di Stato ed Arma dei Carabinieri introducendo talune differenziazioni frutto di scelte di carattere normativo e regolamentando in maniera sostanzialmente analoga, anche se non perfettamente speculare, modalità di avanzamento di carriera di carattere straordinario in relazione ad amministrazioni che, pur svolgendo funzioni sostanzialmente affini, vantano ordinamenti distinti; e ciò ferma restando una sostanziale equiordinazione giuridica e (soprattutto) economica del personale; equiordinazione che comunque anche nel caso di specie appare nella sostanza rispettata, laddove le disposizioni in questione vengano analizzate in modo complessivo e non parcellizzato, come pretendono di fare i ricorrenti

I Giudici del Consiglio di Stato evidenziano che “proprio in considerazione delle diversità ordinamentali delle varie forze di polizia, l’unico aspetto immediatamente unificante della legge n. 121 del 1981 è dato dalla richiamata estensione (automatica e normativa con effetti di rinvio mobile) del trattamento economico del personale della Polizia di Stato agli appartenenti alle altre forze di polizia”, chiarendo anche che “questo trattamento economico, previsto con effetto generale per tutte le forze di polizia, subisce (oltre le differenziazioni dipendenti nello stesso sistema dallo svolgimento di funzioni collegate a specifiche indennità) i riflessi sostanziali derivanti dalle diverse forme di progressione nelle qualifiche e nei gradi, anche se l’omogeneizzazione economica era destinata ad affinarsi nel corso del tempo, nell’obiettivo di perseguire l’effettivo equilibrio di trattamenti che presuppone l’eliminazione di differenze o carenze di meccanismi di progressione in taluni ordinamenti” (Corte costituzionale, sent. n. 65/1997)

La stessa Consulta, inoltre, ha avuto modo di evidenziare che “in operazioni di revisione ordinamentale i benefici conseguiti da singole categorie o livelli di personale non debbono essere necessariamente identici o equivalenti a quelli dell’altro personale non appartenente alla stessa categoria o livello, ma dipendono, come nella specie, dalle esigenze di riassetto organizzativo e di omogeneizzazione tra le varie forze di polizia e forze armate, con il limite inderogabile della esclusione di scavalcamenti retributivi o di trattamenti discriminanti rispetto a precedente identità di compiti e trattamento economico (identità di posizioni retributive e funzionali), ipotesi non sussistenti nelle fattispecie in contestazione” (Corte costituzionale, ord. n. 189/1999), per poi richiamare, con una recentissima pronuncia, “la discrezionalità di cui gode il legislatore in ordine all’articolazione delle carriere e dei passaggi di qualifica dei dipendenti pubblici (ex plurimis, sentenza n. 230 del 2014), specie nel transito da un regime all’altro (sentenza n. 217 del 1997), anche con riguardo alle forze di polizia (sentenze n. 442 del 2005 e n. 63 del 1998; ordinanza n. 296 del 2000)” (così Corte costituzionale, sent. n. 21/2020)

Alla luce di quanto rilevato, il Collegio di palazzo Spada ha ritenuto che non sussistano i presupposti di non manifesta infondatezza per sollevare la prospettata questione di legittimità costituzionale.

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