Illecita diffusione di video girati durante un controllo di Polizia 

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Ultimo aggiornamento 28/05/2022

Risponde a titolo disciplinare l’appartenente alle forze dell’ordine che registra un video durante un controllo di Polizia e lo diffonde sui social esponendo il cittadino sottoposto a controllo ad una lesione di immagine con un danno alla reputazione.

Il principio è enunciato nella sentenza 00124/2022 del 13 febbraio 2022 con cui il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima) ha rigettato l’impugnazione di un provvedimento di sospensione dal servizio irrogato a un dipendente della Polizia di Stato per aver registrato un video durante il servizio, nel corso di un controllo di Polizia e divulgato lo stesso su numerose chat rendendolo virale, ledendo, innanzitutto, il cittadino sottoposto a controllo che, a seguito dell’ampio eco avuto dalla vicenda sulla stampa, vedeva altresì riconosciuto il diritto al risarcimento del danno a proprio favore.

Invero, la notizia della divulgazione incontrollata del video girato dal poliziotto era stata riportata da organi di stampa e siti di informazione, esponendo l’Amministrazione a un verosimile danno d’immagine, anche a causa dell’inopportuno commento ironico che accompagnava le riprese.

Inoltre, a seguito di denuncia sporta da parte del cittadino immortalato nel video, si era instaurato un procedimento penale a carico del ricorrente per i reati previsti dall’art. 167, comma 2 del d.lgs. n. 196/2003, artt. 61, n. 9 e 595 commi 1, 2 e 3 del c.p.

Il Collegio ha confermato la sanzione ritenendo non sussistente la contestata violazione degli articoli 1, 4, 5 e 6 del d.P.R. 737 del 1981, né del principio di specialità, poiché, appunto, non risulta essere irragionevole la riconduzione della fattispecie sotto il combinato disposto di cui all’art. 6 e 4, nn. 10 e 18 del d.P.R. 737 del 1981.

Il Tribunale Torinese ha, altresì, precisato che l’avvio del procedimento penale, che impone, ai sensi dell’art. 11 del d.P.R. n. 737/1981, la sospensione del procedimento disciplinare o ne impedisce la sua attivazione, va individuato nel momento in cui inizia la fase processuale, con l’esercizio dell’azione penale ossia con l’assunzione da parte del soggetto al quale è attribuito il fatto costituente reato della veste di imputato.

Sul punto, il Consiglio di Stato ha chiarito che “l’art. 11 del d.P.R. n. 737/1981 impone la sospensione del procedimento disciplinare nel caso di contestualità con il procedimento penale, il che si verifica quando il dipendente ha formalmente assunto la qualità di imputato nelle ipotesi tipizzate dal c.p.p. (Cons. Stato, sez. IV, 15 luglio 2019, n. 4940 che richiama Cons. Stato, Ad. Plen., 29 gennaio 2009, n. 1 e Cons. Stato, sez. III, 24 marzo 2015, n.1574; più di recente, TAR Piemonte, sez. I, 5 gennaio 2022, n. 9)”.
Nella fattispecie in esame il procedimento disciplinare era stato correttamente attivato, posto che il ricorrente è stato indagato, ma non risulta che avesse assunto la formale condizione di imputato con l’esercizio dell’azione penale nelle forme di cui al c.p.p..

Irrilevante, secondo i giudici del TAR, in relazione all’analisi di tale censura, è altresì il fatto che il ricorrente abbia provveduto a risarcire il danno arrecato con la propria condotta, atteso che tale circostanza può avere rilievo in sede penale, ma non è dirimente sotto il diverso profilo disciplinare.

 

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