La Corte Costituzionale sulle maggiorazioni(RIA) per gli anni 1991 – 1993

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La decisione della Corte Costituzionale sulle maggiorazioni della Retribuzione Individuale di Anzianità (RIA) per gli anni 1991 – 1993

La Corte Costituzionale ha bocciato la Finanziaria 2001 nella parte in cui – retroattivamente – escludeva l’operatività delle maggiorazioni Ria dei dipendenti pubblici per il triennio 1991-1993.

La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dal Consiglio di Stato, che doveva decidere sull’appello contro la sentenza del Tar Lazio (n. 9255/2014), che aveva respinto il ricorso proposto da seicentocinquantotto dipendenti del Ministero della difesa, sulla base della sopravvenienza, nelle more del giudizio, della legge n. 388 del 2000 che ha espressamente escluso che la proroga al 31 dicembre 1993 dell’intera disciplina contenuta nel d.P.R. n. 44 del 1990 potesse estendere anche il termine per la maturazione dell’anzianità di servizio ai fini dell’ottenimento della maggiorazione della RIA.

La decisione della Consulta, al di là degli effetti economici rispetto ai ricorrenti, cristallizza il principio che la non retroattività della legge costituisce un fondamentale valore di civiltà giuridica, che va anche al di là della materia penale, chiarendo che il controllo di costituzionalità delle leggi retroattive diviene “ancor più stringente” qualora l’intervento legislativo “incida su giudizi ancora in corso, specialmente nel caso in cui sia coinvolta nel processo un’amministrazione pubblica”, essendo precluso al legislatore “di risolvere, con legge, specifiche controversie e di determinare, per questa via, uno sbilanciamento tra le posizioni delle parti coinvolte nel giudizio”.

Al fine di verificare se l’intervento legislativo retroattivo sia effettivamente preordinato a condizionare l’esito di giudizi pendenti, la Corte costituzionale ha ribadito la propria competenza a svolgere – in piena sintonia con la giurisprudenza della Corte EDU – uno scrutinio che assicuri una “particolare estensione e intensità del controllo sul corretto uso del potere legislativo”, tenendo conto delle concrete tempistiche e modalità dell’intervento del legislatore.

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Inoltre, nelle motivazioni si è chiarito che “solo imperative ragioni di interesse generale possono consentire un’interferenza del legislatore su giudizi in corso” e che “i principi dello stato di diritto e del giusto processo impongono che tali ragioni siano trattate con il massimo grado di circospezione possibile”.

E, prosegue la decisione, “nel caso in esame non emerge, né dai lavori preparatori, né dalle relazioni tecnica e illustrativa, alcuna ulteriore ragione giustificatrice dell’intervento legislativo retroattivo rispetto all’esigenza di assicurare un risparmio della spesa pubblica, in considerazione di orientamenti giurisprudenziali che stavano riconoscendo tutela alle pretese economiche dei dipendenti nei confronti delle amministrazioni pubbliche di appartenenza”. Di qui la sua illegittimità costituzionale per violazione – tra l’altro – dei principi della certezza del diritto e dell’equo processo, di cui agli artt. 3, 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU. La sentenza ribadisce e rafforza la costruzione di una “solida sinergia fra principi costituzionali interni e principi contenuti nella CEDU” e fra la Corte costituzionale e la Corte di Strasburgo, nell’ottica di un rapporto di “integrazione reciproca”.

Allo scopo di valutare ogni eventuale possibile effetto della decisione della Corte Costituzionale nei riguardi dei dipendenti della Polizia di Stato, abbiamo inviato il 22 gennaio una nota al Dipartimento della P.S. Ufficio per le relazioni Sindacali. Ne riportiamo di seguito il testo:

“”In data 11 gennaio 2024 è stata depositata la Sentenza n. 4/2024 con cui la Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 51, comma 3 della legge n. 388/2000 (Legge finanziaria 2001) che escludeva la proroga al 31 dicembre 1993 quale termine utile per la maturazione dell’anzianità di servizio ai fini dell’ottenimento della maggiorazione della RIA.

Con tale sentenza il computo dell’anzianità di servizio utile al calcolo della maggiorazione RIA (per il raggiungimento dei 5, 10, 20 anni di anzianità di servizio) non si ferma al termine del 31 dicembre 1990, come disposto dalla L. 388/2000 (Legge finanziaria 2001), ma comprende anche il periodo 1991-1993, come previsto dal D.L. n. 384 del 1992.

Il principio enunciato dalla Consulta mette in discussione l’attività legislativa volta ad orientare i giudicati che, negli ultimi 25 anni, hanno inciso in maniera retroattiva sulla materia, rigettando numerosi ricorsi promossi per ottenere il riconoscimento del diritto.

Tale decisione della Consulta avrà sicuramente effetto su tutti i giudizi pendenti producendo il riconoscimento (con relativo ricalcolo) dell’anzianità maturata fino alla data del 31 dicembre 1993, e la rideterminazione (con effetto retroattivo) della maggiorazione RIA, del TFS e del trattamento pensionistico futuro o già in essere.

Ciò premesso, alla luce di possibili aspettative che potrebbero crearsi nella categoria si chiede di conoscere se codesta Amministrazione ritenga che la decisione della Consulta possa dispiegare effetti rispetto ai non ricorrenti e con specifico riferimento ai dipendenti della Polizia di Stato. In caso positivo, si tratta di comprendere quali iniziative codesta amministrazione intende intraprendere per la eventuale compensazione economica delle maggiorazioni dell’anzianità maturate e non corrisposte al personale interessato dopo il 1991 e successivamente riconosciute sulla base della proroga al 31 dicembre 1993 disposta dalla legge 14 novembre 1992, n. 438””.

Inoltre, sarà opportuno conoscere quali siano le conseguenze della decisione della Corte Costituzionale rispetto al personale della Polizia di Stato in quiescenza, nel caso questo abbia subito gli effetti della applicazione della norma dichiarata incostituzionale.

Invero, in entrambi i casi l’eventuale mancato calcolo della maggiorazione RIA sarebbe avvenuto “de plano”, in virtù di una norma, con effetti retroattivi, solo oggi cancellata da una decisione del Giudice delle leggi. In attesa di un cortese cenno di riscontro si pongono distinti saluti”.

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