La riabilitazione e i limiti entro i quali può essere negata

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Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima) con la Sentenza n. 00657/2021 del 28 giugno 2021, ha enunciato una serie di importanti principi in merito ai limiti entro i quali l’Amministrazione può rigettare le istanze di riabilitazione.

La vicenda di fatto ha riguardato il ricorso proposto da un dipendente della Polizia di Stato per l’annullamento del provvedimento con il quale era stata respinta l’istanza di riabilitazione prodotta dal medesimo.

Il ricorrente, in esito a una pronuncia penale per intervenuta prescrizione dal reato era stato sottoposto a procedimento disciplinare conclusosi con l’irrogazione della sanzione disciplinare della deplorazione. A distanza di tempo dai fatti e dall’irrogazione della sanzione, lo stesso aveva reiteratamente presentato istanza di riabilitazione ai sensi dell’art. 87 D.P.R. 3/1957, sempre con esito sfavorevole.
In ultimo a seguito di una ulteriore istanza di riabilitazione, il Consiglio centrale di disciplina aveva espresso parere negativo ritenendo che “l’estrema gravità del comportamento censurato con la sanzione disciplinare della deplorazione del 2004, oggetto peraltro di vicenda penale, presupponga un successivo e reiterato contegno esemplare protratto in un arco di tempo più lungo di quello attualmente trascorso, attraverso il quale il dipendente possa dimostrare un accertato e concreto ravvedimento operoso”. Conseguentemente, l’istanza di riabilitazione veniva respinta con la motivazione che “il fatto contestato al dipendente, sotteso alla sanzione disciplinare oggetto dell’istanza di riabilitazione, per il quale è stato sottoposto a procedimento penale, sia connotato da particolare gravità in relazione ai doveri connessi al ruolo istituzionale dallo stesso ricoperto e, pertanto, necessiti di una ‘osservazione’ attenta e più diluita nel tempo, dalla quale possa evincersi il concreto ravvedimento”.

Il Tribunale Amministrativo Torinese ha accolto il ricorso e annullato il diniego osservando che la giurisprudenza amministrativa è costantemente orientata a ribadire che la riabilitazione del dipendente della Polizia di Stato più volte sanzionato sul piano disciplinare, così come la riammissione in servizio, costituisce il frutto di una valutazione ampiamente discrezionale della p.a. che sfugge al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, purché non sia inficiata da evidenti vizi logici; perciò la latitudine della discrezionalità di pertinenza dell’ amministrazione, chiamata a valutare comparativamente l’interesse del richiedente con gli interessi pubblici coinvolti, restringe il sindacato del g.a. in sede di legittimità entro i confini della verifica di eventuali indici di eccesso di potere per travisamento di fatti ed illogicità manifesta (cfr. T.A.R. Pescara, (Abruzzo) sez. I, 26/05/2014, n.245).

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Orbene, nel caso di specie, secondo il Tribunale, sono pacificamente sussistenti, in quanto acclarate ripetutamente nel corso del procedimento, le condizioni di procedibilità dell’istanza, ossia il decorso di un lasso di tempo biennale dalla data dell’irrogazione della sanzione – avvenuta nel 2004 – e il conseguimento della valutazione di “ottimo” negli annuali rapporti informativi. Senonché, il positivo riscontro dei presupposti nulla implica sul piano dell’apprezzamento discrezionale di merito dell’Amministrazione, almeno in linea generale. Nondimeno, nel caso specifico, si può constatare che a più riprese l’istanza di riabilitazione del ricorrente è stata rigettata con la stessa motivazione, reiterata pedissequamente negli anni – rispettivamente nel 2011, nel 2018 e nel 2020 – limitandosi a rilevare che ai fini della riabilitazione disciplinare occorra un successivo e reiterato contegno esemplare protratto in un arco di tempo più lungo di quello attualmente trascorso, attraverso il quale il dipendente possa dimostrare un accertato e concreto ravvedimento operoso.

Siffatta formula, secondo il Tribunale, si appalesa stereotipa e apodittica, priva di un concreto contenuto motivazionale allorquando essa venga ad esser riprodotta senza ulteriori specifiche nei provvedimenti reiettivi susseguitisi a distanza di anni nell’arco di un decennio (2011-2020). Fermo restando l’insindacabile apprezzamento di merito circa il lasso di tempo ritenuto congruo dall’Amministrazione ai fini della concessione della riabilitazione, sconfina nell’esercizio muto e inintelligibile del pubblico potere l’apposizione di tale formula nonostante il decorso di lassi di tempo crescenti e oggettivamente ragguardevoli, oltre che costantemente contrassegnati da condotta di servizio ineccepibile.

Il TAR precisa che l’Amministrazione avrebbe dovuto “additare con chiarezza e perspicuità, in omaggio al canone del clare loqui insito nell’obbligo motivazionale di cui all’art. 3 l. n. 241/1990, l’orizzonte temporale di riferimento nel corso del quale il contegno ispirato ad esemplarità del dipendente debba essere soggetto ad osservazione disciplinare agli effetti della riabilitazione. Tale mancanza risalta con ancor più vividezza alla luce della positivizzazione dei canoni comportamentali di collaborazione e buona fede anche in sede procedimentale, ex art. 2, co. 2 l. n. 241/1990.”

Mutatis mutandis, la formula stereotipa impiegata dall’Amministrazione stride ulteriormente con il metro temporale di riferimento individuato dal legislatore nell’art. 87 cit., in misura pari al biennio a far data dall’illecito e l’imprevedibile dilatazione discrezionale di tale lasso temporale, che giunge financo ad ottuplicarsi nel caso di specie senza alcuna plausibile ragione e consegna l’effettiva applicazione dell’istituto della riabilitazione disciplinare all’incontrollabile arbitrio degli organi interni di disciplina, privando di qualsivoglia parametro ragionevole di riferimento gli istanti in riabilitazione. Inoltre, concreta un ulteriore profilo di carenza motivazionale la sostanziale pretermissione delle risultanze dei rapporti informativi annuali, comprovanti per il lasso quindicennale una condotta di servizio ineccepibile sempre valutata con la qualifica di ottimo: il protrarsi del periodo di osservazione, così apoditticamente cristallizzato nel corpo motivazionale, onerava l’Amministrazione di dare conto delle ragioni per cui, nonostante la condotta lodevole del dipendente costantemente serbata negli anni, si richiedessero ulteriori – e imprecisati – periodi di osservazione ai fini della concessione del beneficio.

I Giudici amministrativi hanno richiamato la giurisprudenza amministrativa di merito in un caso affine a quello in esame: “l’art. 87 d.P.R. n. 3/1957 dispone che il decorso di soli due anni è astrattamente sufficiente a consentire la riabilitazione disciplinare. Decorso tale termine, il diniego del beneficio non può essere basato sul mero rilievo della non sufficienza del tempo trascorso a dimostrare un «ravvedimento operoso», ma deve basarsi su una puntuale valutazione del contegno complessivamente tenuto nell’assolvimento degli obblighi di servizio dall’interessato. Nella specie, la motivazione del diniego risulta, invece, priva di ogni concreto riferimento al comportamento del dipendente nel periodo successivo alla inflizione della ultima sanzione patita, risalente a ben quindici anni prima, periodo durante il quale il medesimo non solo ha ottenuto il giudizio annuale di « ottimo » ma ha altresì documentato di aver conseguito varie note di compiacimento che avrebbero potuto e dovuto essere valutate dall’amministrazione al fine di verificare la sussistenza delle condizioni per concedere la riabilitazione” (cfr. T.A.R. Reggio Calabria, (Calabria) sez. I, 02 Marzo 2020, n.140).

In tal senso anche una recente pronuncia del Consiglio di Stato alla stregua della quale alla luce di una lettura coordinata dell’art. 87 cit. e dell’art. 3 l.n. 241/1990, il potere di riabilitazione conferito all’Amministrazione, per quanto connotato da discrezionalità, deve pur sempre essere esercitato in modo adeguato esplicitando le ragioni per cui la condotta tenuta dall’interessato nel lasso di tempo decorso dalla sanzione disciplinare non ne dimostri un ravvedimento, segnatamente nei casi in cui, qual è quello in esame, è decorso un lasso temporale molto lungo sia dai fatti sanzionati sia dai provvedimenti con i quali sono state irrogate le sanzioni (cfr. Cons. Stato, 21 dicembre 2020, n. 8181).

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