Limite di età fissato a 30 anni per il concorso per Commissario della PS

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Legittimo il limite di età fissato a 30 anni per la partecipazione al concorso per Commissario della Polizia di Stato

Il principio è stato enunciato dal Consiglio di Stato con Sentenza n. 05654/2023 (Sezione Seconda) dell’8 giugno 2023.

La questione ruotava attorno alla contestazione dell’abbassamento da 32 a 30 anni del limite di età per l’accesso alla carriera di Commissario di polizia assunto dal ricorrente come irragionevole e privo di una comprensibile giustificazione nonché in contrasto con la direttiva 2000/78/CE, recepita nel nostro ordinamento dal d.lgs. n. 216 del 2003, recante “Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro”.

Secondo il ragionamento del ricorrente, l’età anagrafica non rappresenta di per sè un indice attendibile della preparazione del candidato proprio in quanto dipendente da un rilevante numero di variabili anche perché, nella selezione per cui è causa, sono previste prove specificamente finalizzate all’accertamento della capacità fisica.

Inoltre, sarebbe irragionevole anche il fatto che per i dipendenti civili del Ministero il limite sia elevato a 35 anni e per gli appartenenti ad altri ruoli della Polizia di Stato non vi sia alcun limite d’età.

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Il Consiglio di Stato ha respinto la pretesa ricorrente con le seguenti motivazioni:

L’attuale quadro ordinamentale consegue all’attuazione dell’art. 8, comma 1, della l. n. 124/2015 (c.d. “delega Madia”), che ha delegato il Governo ad adottare, uno o più decreti legislativi per modificare, tra l’altro, il sistema delle forze di polizia, in chiave di razionalizzazione e risparmio, sulla base dei principi e criteri direttivi ivi indicati.

Tra dette principi si rinviene la «razionalizzazione e potenziamento dell’efficacia delle funzioni di polizia attraverso modificazioni agli ordinamenti del personale delle Forze di polizia di cui all’articolo 16 della legge 1° aprile 1981, n. 121, in aderenza al nuovo assetto funzionale e organizzativo, anche con la revisione della disciplina in materia di reclutamento, di stato giuridico e di progressione in carriera.

Il d.lgs. n. 95/2017, all’art. 1, comma 1, lett. q), ha dato attuazione a tali modifiche, disponendo che il regolamento adottato ai sensi dell’art. 3, comma 6, della l.15 maggio 1997, n. 127, (d.m. 13 luglio 2018, n. 103), possa derogare al limite massimo di età di ventotto anni. Occorre ricordare, infatti, che il citato art. 3, comma 6, l. 15 maggio 1997, n. 127, nell’eliminare il limite di età in generale quale requisito di accesso ai concorsi indetti da pubbliche amministrazioni, ha fatto salve le «deroghe dettate da regolamenti delle singole amministrazioni connesse alla natura del servizio o ad oggettive necessità dell’amministrazione».

Il Consiglio, nel richiamare la propria precedente giurisprudenza, ha rammentato come la eliminazione dei limiti di età per i concorsi pubblici, nel salvaguardare le relative deroghe, abbia «operato un bilanciamento tra opposti valori e cioè tra il principio di pubblicità e di massima partecipazione ai concorsi nella pubblica amministrazione – incompatibile con la previsione di limiti di età – e le esigenze organizzative di efficacia e di buon andamento dell’amministrazione, connesse in particolare alla natura del servizio o ad altre oggettive necessità che possono richiedere particolari requisiti di idoneità fisica legati anche all’età dei candidati» ( Cons. Stato, sez. IV, 16 maggio 2019, n. 3157).

L’avvenuta emanazione del regolamento che ha fissato il limite di età inderogabile risponde ad una precisa scelta del legislatore delegante, come affermato dallo stesso Consiglio di Stato avuto riguardo ad analoga fattispecie in relazione alla ritenuta coerenza del sistema ai principi di cui all’art. 76 della Costituzione (Cons. Stato, sez. II, 24 ottobre 2022, n. 9058.

Tale conclusione, secondo il Collegio, è stata raggiunta anche sulla scorta del parere n. 915 della Commissione Speciale di questo Consiglio sullo schema del decreto legislativo, reso nell’adunanza del 12 aprile 2017. Al § 2.2 dello stesso, infatti, concernente «L’abbassamento dei limiti di età per l’accesso ai ruoli e la diminuzione del periodo di permanenza nel grado ai fini dell’avanzamento in carriera», si rileva che «[…] il generale abbassamento dei limiti d’età per l’accesso ai ruoli risponde ad una precisa esigenza evidenziata dall’Amministrazione di disporre di personale più giovane per raggiungere alcuni degli obiettivi previsti dalla riforma.

Sotto questo profilo, argomentano i giudici di palazzo Spada, le disposizioni in esame risultano coerenti con la succitata esigenza e, pertanto, pur in assenza di uno specifico criterio direttivo di delega, non possono ritenersi in contrasto con quest’ultima, essendo rivolti in maniera non illogica e irrazionale a raggiungere alcuni obiettivi previsti dalla riforma stessa».

Per quel che riguarda il rapporto con la disciplina europea, Il Collegio richiama sinteticamente i punti cardine della disciplina europea contenuti nella direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità̀ di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, cui è stata data attuazione con il d.lgs. 9 luglio 2003, n. 216 per affermare che:

“”Ai sensi dell’art. 2, paragrafo 1, della richiamata direttiva 2000/78, per «principio della parità̀ di trattamento» si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1 della medesima direttiva, tra i quali è espressamente ricompresa anche l’età̀. Il successivo paragrafo 2, alla lettera a), identifica una situazione di «discriminazione diretta» (diversa da quella «indiretta» di cui alla lettera b) allorquando «una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga» per uno dei motivi di cui al medesimo art. 1, e dunque anche per ragioni di età̀. L’art. 4, paragrafo 1, tuttavia, consente agli Stati membri di diversificare per i motivi di cui all’art. 1 la posizione dei lavoratori, escludendo che ciò̀ integri una discriminazione laddove «per la natura di un’attività̀ lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, tale caratteristica costituisca un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell’attività̀ lavorativa, purché́ la finalità̀ sia legittima e il requisito proporzionato».

L’art. 6, paragrafo 1, infine, consente scelte astrattamente discriminatorie effettuate proprio «in ragione dell’età̀» laddove esse siano «oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità̀ legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità̀ siano appropriati e necessari». Nell’esemplificare le misure ammissibili, la norma individua proprio «la fissazione di un’età̀ massima per l’assunzione basata sulle condizioni di formazione richieste per il lavoro in questione o la necessità di un ragionevole periodo di lavoro prima del pensionamento» (lettera c) del secondo capoverso).

Dal combinato disposto di tali disposizioni, emerge che ciò̀ che rileva non è il motivo su cui è basata la disparità di trattamento, ma la non necessità della diversificazione, ovvero la sua irragionevolezza, che implicano o rendono ingiustificabile la differenziazione attuata (sul primo punto, v. C.G.U.E., sentenza del 15 novembre 2016, Gorka Salaberria Sorondo contro Academia Vasca de Policía y Emergencias, C-258/15, in particolare punto 33 e giurisprudenza ivi citata, richiamata anche in Cons. Stato, sez. I, 21 dicembre 2022, n. 2057).

Il Collegio ritiene opportuno richiamare anche il punto 18 della premessa della direttiva, laddove si prevede che la stessa « non può̀ avere l’effetto di costringere le forze armate nonché́ i servizi di polizia, penitenziari o di soccorso ad assumere o mantenere nel posto di lavoro persone che non possiedano i requisiti necessari per svolgere l’insieme delle funzioni che possono essere chiamate ad esercitare, in considerazione dell’obiettivo legittimo di salvaguardare il carattere operativo di siffatti servizi””.

In ultima analisi, secondo I Giudici di Palazzo Spada, occorre, tuttavia, verificare, secondo il paradigma sopra ricostruito e ribadito dalla giurisprudenza della Corte lussemburghese, se siffatta (apparente) disparità di trattamento possa essere esclusa alla luce dell’articolo 4, paragrafo 1, o giustificata, in base all’articolo 6, paragrafo 1, della medesima direttiva 2000/78.

Al riguardo, il Collegio ritiene che l’età̀ massima di trenta anni sia giustificata, nei limiti della discrezionalità del legislatore, dalle caratteristiche delle funzioni di polizia da svolgere, connotate da «compiti di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica» nonché «di polizia giudiziaria, con particolare riguardo all’attività investigativa» che sono proprie anche dei commissari e non solo degli ispettori poiché nei primi livelli della carriera dei funzionari di polizia son previsti anche compiti strettamente operativi, specie in tema di ordine pubblico e solamente con il conseguimento di più̀ elevati livelli i compiti saranno quasi esclusivamente di direzione e controllo.

Il corretto esercizio della discrezionalità legislativa in relazione alle caratteristiche del servizio, dunque, si ricava anche dal fatto che per gli ispettori e per gli agenti sono stati previsti limiti di età̀ ancora più̀ stringenti (28 per gli ispettori e 26 per gli agenti), in considerazione del fatto che per loro gli impegni operativi caratterizzano ancor di più̀ le funzioni da svolgere. Infine, è da escludere un profilo di irragionevolezza e di disparità di trattamento, che ecceda i limiti della legittima discrezionalità, rispetto alla elevazione del limite di età prevista dal d.m. n. 103 del 2018 per gli appartenenti all’Amministrazione civile dell’Interno, essendo tale elevazione contenuta (35 anni anziché 30) e comunque riferita alla diversa situazione di chi avendo già prestato servizio, appunto, nella medesima Amministrazione, ha una posizione previdenziale aperta e ha comunque maturato un’esperienza settoriale, seppure non operativa, di potenziale utilità, che evidentemente si è inteso in qualche modo valorizzare.

La scelta del legislatore di un determinato limite di età, infatti, oscillante peraltro in un arco piuttosto ristretto, consegue, come detto, a valutazioni plurime, effettuate avuto riguardo ai diversi livelli di carriera, allo sviluppo della stessa all’interno di ciascuno, alle scelte di formazione obbligatoria, ecc. Pretendere di sovrapporre, in termini meccanicistici, le distinte figure che ciascun ordinamento ha autonomamente valutato in relazione alla sua specificità, individuando un preciso e distinto discrimen, non solo impinge indebitamente nella discrezionalità delle scelte del legislatore, ma si esaurisce in una lettura delle stesse non sorretta da adeguata analisi.

In sintesi, non essendo affatto provata l’identità della situazione, in assoluto, con riferimento alle attività richieste (ad esempio, rispetto alla polizia penitenziaria o ai vigili del fuoco), la diversa opzione effettuata dalle norme di settore non può essere ritenuta irragionevole, né, men che meno, discriminatoria

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