Liquidazione dei 6 scatti aggiuntivi sul TFS – il punto della situazione

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Il quadro giurisprudenziale in tema di attribuzione dei sei scatti stipendiali aggiuntivi sul TFS (previsti dall’art. 6 bis del decreto-legge 21 settembre 1987, n. 387, convertito in legge 20 novembre 1987, n. 472, come introdotto dall’articolo 21, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 232) vede oggi uno stabile orientamento favorevole ai ricorrenti, consolidato anche da numerose pronunce del Consiglio di Stato.

È parimenti noto come, quantomeno sino ad oggi, l’INPS ha riconosciuto il diritto in questione – che spetta, è bene ricordarlo, a quanti siano cessati dal servizio a domanda con almeno 35 anni di servizio e 55 anni di età – solo a seguito della pronuncia di condanna, ed ha sempre pervicacemente resistito in giudizio sollevando eccezioni che rispondono ad uno schema ripetitivo, puntualmente rigettate dai collegi giudicanti.

Appare evidente che questo atteggiamento, incentivato in qualche modo dalla sistematica compensazione delle spese di lite, mira ad ostacolare la liquidazione di somme importanti che, nella prospettiva dell’ente interessato, rappresentano un impegno economico di non scarso momento. In altri termini l’automatico riconoscimento dei 6 scatti a chi dispone dei prescritti requisiti determinerebbe un buco di bilancio non semplice da gestire.

In tale panorama di riferimento, cerchiamo ora di dare alcune utili indicazioni che hanno il solo scopo di poter orientare le scelte di quanti, e sono molti, continuano a chiederci quale potrebbe essere lo scenario futuro, e segnatamente se sia plausibile immaginare una svolta in ragione della quale il diritto in questione verrà riconosciuto senza dover azionare formali contenziosi.

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Una risposta a tali quesiti non è al momento formulabile con certezza. Né riteniamo sufficiente che l’apertura di uno specifico dossier presso i ministeri interessati, comunicata dall’INPS a seguito delle molteplici iniziative di sollecitazione azionate verso il predetto ente, possano essere interpretate in un senso piuttosto che in un altro.

Pertanto, in assenza di solide basi alle quali poter ancorare un qualsivoglia convincimento munito di apprezzabili approdi fattuali o giuridici, non possiamo fare altro che offrire alcuni spunti di riflessione anche alla luce di pregresse esperienze che, in passato, hanno visto interventi normativi dirimere le questioni con gravi sperequazioni.

Primo tra i quali quello del periodo di prescrizione del credito che, essendo il TFS qualificato come posta di natura retributiva, si compie in cinque anni dal momento della maturazione.

È importante chiarire quale sia il momento a partire dal quale viene fissata la decorrenza. Secondo una prima impostazione va presa come riferimento la data in cui l’interessato ha avuto conoscenza dell’ammontare del TFS che gli è stato conteggiato, anche perché, osservano i sostenitori di tale tesi, non potrebbe essere rivendicato un diritto prima di sapere con certezza se è stato o meno negato.

Esiste però un secondo, e decisamente più preoccupante, diverso orientamento, che fissa nella data del collocamento in quiescenza quale giorno da cui far decorrere il termine quinquennale di prescrizione, in quanto “l’impossibilità di far valere il diritto, alla quale l’art. 2935 c.c. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, come osserva autorevole giurisprudenza (Cass. civ., sez. lav. 6 febbraio 2018, n. 2827)“ è solo quella che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l’esercizio e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, per i quali il successivo art. 2941 c.c. prevede solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione tra le quali, salvo l’ipotesi di dolo prevista dal n. 8 del citato art., non rientra l’ignoranza, da parte del titolare, del fatto generatore del suo diritto, né il dubbio soggettivo sulla esistenza di tale diritto ed il ritardo indotto dalla necessità del suo accertamento” (così, tra le varie e più recenti sentenze, quelle del TAR Veneto, 211/2023 e 196/2023).

Per l’effetto è il caso di sottolineare che chi intende rimanere in attesa auspicando che il suo diritto venga, alla fine, riconosciuto senza dover promuovere alcuna iniziativa, si attivi comunque per notificare all’INPS una costituzione in mora per interrompere il decorso della prescrizione, onde non vedersi poi respingere, come è accaduto a numerosi colleghi che confidavano sul diverso termine di decorrenza, la pretesa fatta valere.

Ma le insidie non si esauriscono qui, ed è opportuno tenerne conto. Non è infatti la prima volta che il legislatore interviene con modifiche normative che arrivano ad incidere anche su diritti acquisiti, allo scopo di contenere la spesa pubblica. Una modalità sicuramente discutibile e cinica, che vista la dimensione dell’esborso prevista non ci sentiamo di poter escludere. In effetti, secondo quanto ci viene riportato, è proprio l’argomento della mancanza di copertura quello speso dai legali dell’INPS per cercare di condizionare il giudizio delle Corti, che fortunatamente non hanno apprezzato questa linea di difesa.

Non solo. Sempre attingendo all’esperienza, anche quella recente, sappiamo che in alcuni casi, come ad esempio è avvenuto in tema di rivalutazione della parte retributiva delle pensioni (art. 54 DPR 1092/1973), il diritto è stato sì riconosciuto, ma non con effetto retroattivo.

A questo si aggiunga che le sentenze che hanno sino ad oggi accolto i ricorsi in tema di riconoscimento dei 6 scatti hanno accertato anche il diritto dei ricorrenti ad ottenere la liquidazione degli interessi legali dal momento della maturazione al saldo. Interessi legali che, data l’incidenza dell’inflazione in questi ultimi anni, hanno raggiunto soglie ragguardevoli (per il 2023 sono stati fissati in misura del 5% annuo). Per fare un esempio pratico, stimato in 10 mila euro l’importo dei 6 scatti, supponendo che il diritto sia maturato il 1° gennaio 2019, la quota relativa agli interessi legali – calcolo fatto con una delle più utilizzate applicazioni reperibili in rete – si aggira intorno ai 700 euro.

Per tutto quanto precede, pur non potendoci sbilanciare in previsioni, siamo orientati a ritenere che ad oggi la via del ricorso giurisdizionale sia quella in grado di meglio assicurare la tutela degli interessati, anche in considerazione del fatto che sul territorio sono stati promossi, anche da segreterie Provinciali e Regionali del Siulp, numerosi ricorsi collettivi, per aderire ai quali vengono chieste somme decisamente ragionevoli. Possiamo anche affermare come, secondo quanto ci è stato rappresentato dai nostri quadri periferici (quelli che, per l’appunto, hanno seguito le iniziative ricorsuali in parola), il saldo del dovuto da parte dell’INPS è avvenuto nel giro di pochi mesi. Il che conferma come quella dell’ente previdenziale sembra essere una tattica meramente dilatoria, che raccoglie qualche successo laddove, come detto, i ricorrenti non siano stati tempestivi nel proporre le rispettive rivendicazioni.

Per tali ragioni la Segreteria Nazionale, considerato che sono stati segnalati anche ricorsi i cui costi sono cospicui, si è riservata di individuare studi legali che, a prezzi convenzionati, possono patrocinare le relative controversie nei casi in cui le Segreterie territoriali Siulp dovessero raccogliere le manifestazioni di interesse da parte di un adeguato numero di potenziali ricorrenti.

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