L’uso dello spray urticante, con finalità di aggressione, è idoneo ad aggravare il reato di rapina in quanto il suo uso, con finalità di aggressione alla persona, lo rende classificabile come una vera e propria arma. Ciò è quanto si ricava dalla sentenza n. 9049/2023 della seconda sezione penale della Cassazione.
Lo scenario dei fatti è la provincia di Brescia, dove un uomo condannato per aver aggredito una persona e strappato la collana, dopo averle spruzzato in faccia uno spray al peperoncino, aveva adito la Corte di legittimità ritenendo che la propria condotta doveva essere più correttamente inquadrata nella fattispecie di percosse (o lesioni personali) e di furto con strappo. Inoltre, lamentava violazione della legge penale in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante dell’uso dell’arma, “in quanto lo spray al peperoncino è strumento di difesa legale se rispetta le caratteristiche indicate nel decreto ministeriale 12 maggio 2021, n. 103”.
Gli Ermellini, tuttavia, hanno ritenuto i motivi di ricorso manifestamente infondati.
Secondo la cassazione, non regge la tesi della difesa su un’azione non originariamente programmata ma conseguente ad altra azione di violenza scaturita per altre ragioni. Tale circostanza, per i giudici, infatti, “non esclude la sussistenza nella fattispecie del delitto di rapina, configurabile anche in presenza del cosiddetto dolo concomitante o sopravvenuto, in quanto la coscienza e volontà del soggetto attivo, dovendo cadere sulla funzione e sulla efficacia della minaccia o della violenza, strumentali rispetto all’impossessamento, non devono necessariamente preesistere all’inizio dell’attività integratrice dal reato, ma possono insorgere anche in un secondo momento”.
Per Piazza Cavour, va poi radicalmente escluso che nella fattispecie sia ravvisabile il meno grave reato previsto dall’art. 624-bis, secondo comma, c.p., considerato che, nella ricostruzione dei giudici di merito, prima di impossessarsi della collana, l’uomo colpì la persona offesa con un pugno e gli spruzzò lo spray urticante: “il furto con strappo – ricordano – non è mai configurabile in tutte le ipotesi in cui la violenza, comunque ‘indirizzata’, sia stata esercitata […] per vincere la resistenza della parte offesa, giacché in tal caso sarebbe la violenza stessa, e non lo ‘strappo’, a costituire il mezzo attraverso il quale si realizza la sottrazione, determinando automaticamente il refluire del fatto nello schema tipico del delitto di rapina”.
Senza contare che “il motivo inerente alla sussistenza della circostanza aggravante non era stato proposto con l’appello: secondo il diritto vivente, alla luce di quanto disposto dall’art. 609, comma 2, c.p.p., non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perché non devolute alla sua cognizione, ad eccezione di quelle rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio e di quelle che non sarebbe stato possibile proporre in precedenza”.
E in ogni caso, risulta evidente per la S.C. che nel caso di specie, “non si trattava della legittima detenzione dello spray urticante (ammesso che esso rispettasse le indicazioni di cui al decreto ministeriale 12 maggio 2021, n. 103 e che vi fosse un giustificato motivo per portarlo in luogo pubblico), bensì dell’uso che di esso ne fu fatto, con finalità di aggressione alla persona, sì da poterlo classificare come arma, ai fini dell’applicazione dell’aggravante prevista dall’art. 628, terzo comma, n. 1 c.p., al pari di un’arma giocattolo, di una siringa, di un mattarello o di un randello di legno, per citare alcuni fra i casi più frequenti che si rinvengono nella giurisprudenza di legittimità”.
Pertanto, il ricorso è inammissibile e il ricorrente condannato anche al pagamento delle spese processuali e di 3mila euro in favore della cassa delle ammende.