Sopravvenuta inidoneità attitudinale al servizio nella Polizia di Stato

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La decisione della Corte Costituzionale in tema di sopravvenuta inidoneità attitudinale al servizio nella Polizia di Stato

Con la Sentenza n. 190 del 30 ottobre 2024, la Consulta ha definito il giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982, n. 339 (Passaggio del personale non idoneo all’espletamento dei servizi di polizia, ad altri ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza o di altre amministrazioni dello Stato), promosso dal Consiglio di Stato in riferimento agli artt. 1, 3, 4, 27, 35, 36, 51, 76 e 97 della Costituzione

Era in contestazione la legittimità della disposizione «nella parte in cui esclude o comunque non prevede la possibilità di disporre il transito nei ruoli civili dell’Amministrazione della Pubblica sicurezza o di altra amministrazione pubblica per gli appartenenti ai ruoli della Polizia di Stato che espletano funzioni di polizia, in caso di riscontrato difetto dei requisiti attitudinali».

Il procedimento in cui la questione di legittimità è stata eccepita riguardava il giudizio instaurato innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia da un dipendente della Polizia di Stato avverso gli atti con i quali il Ministero dell’interno, dopo avere disposto la revoca della sospensione cautelare del ricorrente dal servizio e la verifica della permanenza dei requisiti psico-fisici ed attitudinali, ne aveva disposto la cessazione dal servizio in quanto riscontrato non idoneo al servizio di polizia.

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Dopo il rigetto del ricorso da parte del TAR, la questione perveniva, in appello, alla cognizione del Consiglio di Stato che accoglieva e rimetteva l’eccezione di legittimità Costituzionale dell’art. 1 del d.P.R. n. 339 del 1982 nella parte in cui, consentendo il passaggio ad altri ruoli della stessa o di altra amministrazione soltanto in favore del dipendente dichiarato inidoneo al servizio per motivi di salute “determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento, in violazione dei principi costituzionali posti a salvaguardia del lavoro (artt. 1, comma 1, 3, 4, 38 e 97 Cost.), rispetto alla situazione del dipendente inidoneo per motivi di salute, che potrebbe invece beneficiare del passaggio in altri ruoli”.

La Corte costituzionale, dopo aver riassunto la cornice normativa di riferimento ha dichiarato inammissibili e non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Consiglio di Stato, affermando che, in proposito, deve ritenersi insussistente – tanto per i datori di lavoro del settore pubblico che per quelli del settore privato – un obbligo generalizzato di assegnare a un altro ambito mansionistico il lavoratore che si dimostra non capace a rendere la prestazione lavorativa richiesta, tranne che nell’ipotesi di inidoneità parziale all’impiego causata da un sopravvenuto deficit di salute.

Invero, solo nel caso di una menomazione fisica o psichica, i principi costituzionali di solidarietà sociale e quelli euro unitari di non discriminazione di cui alla direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, impongono siffatto obbligo.

Peraltro, afferma la Corte, la stessa direttiva 2000/78/CE, «non prescrive […] il mantenimento dell’occupazione […] di un individuo non competente, non capace o non disponibile ad effettuare le funzioni essenziali del lavoro in questione, fermo restando l’obbligo di prevedere una soluzione appropriata per i disabili».

Pertanto, non risulta irragionevole, e costituisce una scelta rimessa alla discrezionalità del legislatore, non consentire il transito in altri ruoli dell’amministrazione dell’agente della Polizia di Stato che, risultando privo dei requisiti attitudinali, non è più in possesso della specifica capacità lavorativa richiesta per l’espletamento delle funzioni per le quali è stato assunto.

Secondo i giudici costituzionali, la disposizione censurata, nella misura in cui non prevede il transito in altri ruoli nel caso di perdita del requisito attitudinale, risulta coerente con quanto previsto per altre categorie lavorative del settore pubblico cui è richiesto il possesso di specifiche attitudini, quali gli insegnanti, che sono soggetti alla dispensa dal servizio per “incapacità didattica” (art. 512 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, recante «Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado»).

La scelta del legislatore non determina neppure, come ipotizzato nell’ordinanza di rimessione, una violazione dell’art. 3 Cost. per disparità di trattamento rispetto al personale dell’Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza.

Infatti, le disposizioni che consentono il transito in altri ruoli di tale personale (per l’Arma dei carabinieri, l’art. 930, comma 1, del d.lgs. n. 66 del 2010 e per la Guardia di finanza l’art. 14, comma 5, della legge n. 266 del 1999), fanno riferimento all’ipotesi di inidoneità al servizio «per lesioni dipendenti o meno da causa di servizio» e, quindi, non trovano applicazione nel caso di perdita del requisito delle attitudini.

Secondo il giudice delle leggi, “non sono fondate neppure le questioni sollevate in riferimento agli artt. 4 e 35 Cost. e riguardanti il diritto al lavoro e la sua tutela poiché il riconoscimento di tale diritto non comporta il generalizzato obbligo di garantire la conservazione del posto di lavoro al lavoratore che non possegga i requisiti necessari per adempiere in maniera adeguata alle prestazioni richieste. Come più volte affermato dalla giurisprudenza Costituzionale, «la garanzia del diritto al lavoro non comporta una generale ed indistinta libertà di svolgere qualsiasi attività professionale, spettando pur sempre al legislatore di fissare condizioni e limiti in vista della tutela di altri interessi parimenti meritevoli di considerazione e, più in particolare, di valutare, nell’interesse della collettività e dei committenti […] i requisiti di adeguata preparazione occorrenti per l’esercizio dell’attività professionale medesima» (sentenza n. 441 del 2000)”.

Per le medesime ragioni, non sussiste neppure la violazione dell’art. 51 Cost., riguardante l’accesso agli uffici pubblici in condizioni di uguaglianza, non essendo ravvisabile, nell’ipotesi di perdita delle attitudini, un diritto alla conservazione del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione.

Quanto al contrasto con l’art. 97 Cost., “il rispetto del principio di buon andamento non comporta l’obbligo per l’amministrazione di verificare se un agente della Polizia di Stato, dimostratosi non più capace di rendere la prestazione per la quale era stato assunto, possa essere comunque utilizzato per espletare funzioni diverse da quelle di polizia”.

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