Vertenza Sicurezza 15 Novembre 2022

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Per il Sig. Presidente del Consiglio On.le Giorgia Meloni
e per il Sig. Ministro dell’Interno Pref. Matteo Piantedosi

Signora Presidente del Consiglio, Signor Ministro dell’Interno,

com’è noto, l’ordine pubblico è un bene di valore costituzionale poiché tutela sicurezza e libertà. “Tutela” come scudo della libertà e “Libertà” come fondamento di ogni possibile sicurezza. Si tratta di un equilibrio che in ogni democrazia avanzata non è facile da realizzare. Giacché il tema tocca e interessa aspetti di rilievo costituzionale per cui, naturalmente, entrano in gioco filosofie e pulsioni ideologiche diverse che possono influenzarlo. Ma la democrazia deve essere la sintesi delle opzioni competitive, entrambe esigenti, ma entrambe necessarie per comporre una visione unitaria che si fondi sulla centralità, non negoziabile, del valore della vita e delle libertà di ogni essere umano su ogni altra istanza. Tutto ciò, non può risolversi solo in una mera affermazione apodittica di principio.

La sicurezza pubblica va declinata in un progetto di governo, che accompagni strategie di formazione e promozione professionale di chi è chiamato a garantirla, per ottenere l’evoluzione e il consolidamento dei valori civili su cui si fondano le moderne forze di polizia di uno stato democratico. Una visione, questa, che non va considerata come costo ma come risorsa di un pilastro costituzionale, che deve assicurare uno dei servizi primari in capo al governo del Paese.

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In premessa si evidenzia che il Siulp e il Siap ritengono, su questi temi, necessario e indifferibile aprire un confronto costruttivo e programmatico con il Governo e il Ministro dell’Interno, ripartendo dalla convocazione a Palazzo Chigi in occasione dei lavori propedeutici al varo della legge finanziaria. Non solo perché previsto dalla legge, ma soprattutto perché riteniamo di essere parte integrante delle dinamiche istituzionali e sociali del Paese e, in quanto tali, di avere pieno titolo a partecipare al momento di maggiore interlocuzione e confronto con la parte politica e di governo. Nel passato ha preso corpo, in modo infruttuoso, una visione culturale della governance del comparto sicurezza, caratterizzata da marcati profili di una idea autoreferenziale ed egemonica, quasi dirigistica, da parte di rappresentanti politici che si sono rivelati affetti da strabismo sociale e istituzionale rispetto al valore del nostro lavoro e alle funzioni esercitate dalle forze di polizia. Detto aspetto, che auspichiamo non si incancrenisca, se dovesse perdurare, oltre a divenire strumento di marginalizzazione dei poliziotti escludendoli dal dibattito e dal confronto, è foriero di un grave vulnus del sistema sicurezza che oggi presenta emergenze che vanno affrontate immediatamente e con piani pluriennali.

Il movimento sindacale democratico dei poliziotti, che si rifà ai modelli organizzativi e culturali confederali, ha conquistato sul campo, con un lavoro serio e responsabile, il proprio ruolo nella società italiana e nelle relazioni con il mondo del lavoro, delle associazioni e della politica. L’esigenza è quella
di portare sul tavolo del confronto con il nuovo Governo le istanze, le criticità e le proposte, afferenti le diverse sfaccettature del complesso prisma che compongono il bene Sicurezza Pubblica e del personale deputato a garantirla. Il Tema è di stretta attualità e interessa, perché molto
sentito, cittadini e imprese per le ricadute che le politiche della sicurezza hanno sulla qualità
della vita delle persone e delle nostre città, perché favorisce lo sviluppo del commercio del turismo e delle imprese nelle economie dei territori, specie quelli più depressi.

Ciò brevemente premesso, come affermato e in adesione ai dettami della cultura e della tradizione del sindacato confederale che ci ispira e ci rende consapevoli, di come il mandato di rappresentanza e rivendicazione che ci è stato affidato dalle Poliziotte e dai Poliziotti non deve mai perdere di vista la complessità della prospettiva politica e le difficoltà del quadro socio economico e finanziario di cui devono necessariamente tenere conto i temi dell’agenda sindacale, non potendo ignorare quali e quante insidie per la tenuta del sistema Paese discendano dall’involuzione dell’attuale congiuntura nazionale e internazionale. Una crisi, che si innesta nel solco lasciatoci in dote dalle laceranti ferite dell’emergenza sanitaria.

Non abbiamo la pretesa di approfondire in questa sede le ricadute provocate dal dissennato conflitto bellico nel cuore dell’Europa, originato dai mai sopiti aneliti di nostalgie imperialiste, che arrivano persino ad agitare lo spettro dell’apocalisse nucleare. Non ne avremmo, a tacer d’altro, l’autorevolezza. Riteniamo però che le assillanti criticità con le quali il Governo deve quotidianamente confrontarsi non possano comprimere oltre misura le istanze di cui sono portatori i corpi intermedi.

In altri termini non ci abbandoneremo a iperboliche ed impraticabili rivendicazioni di natura economica. Non lo abbiamo mai fatto, proprio perché è sempre prevalso in noi il senso di responsabilità che ci ha tenuto distanti dalla tentazione di inseguire il facile consenso con altisonanti proclami demagogici e populustici, tipici di chi ha quale esclusivo fine, non già gli interessi dei poliziotti, ma la propria sopravvivenza sindacale o politica.

Ciò non significa che non vi siano le condizioni per poter immaginare di armonizzare le legittime esigenze delle donne e degli uomini della Polizia di Stato con quelle della finanza pubblica.E, soprattutto, non significa che la limitazione delle risorse finanziarie debbano necessariamente risultare di ostacolo a percorsi riformatori, troppo a lungo rinviati in nome di opache resistenze
degli apparati burocratici e contabili.

Noi continuiamo a pensare, in assonanza con quanto dimostrano studi dei più accreditati economisti, rilanciati anche dalle istituzioni comunitarie, ci sia consentito ricordare la ricerca alla quale abbiamo contribuito, curata dalle confederazioni di riferimento, che è confluita nel Terzo Rapporto sulla coesione sociale della Commissione Europea, in cui si afferma, che quelle per la sicurezza non siano da considerare spese improduttive. Ma si rivelino semmai investimenti imprescindibili per garantire un virtuoso sviluppo economico. Un effetto leva per percepire il quale non occorre far altro che verificare quale sia il differenziale tra il prodotto interno lordo di aree del territorio nazionale in cui, pur tra inenarrabili difficoltà, ancora si riesce ad assicurare un adeguato livello di sicurezza e quelle in cui, invece, nonostante gli encomiabili sforzi degli operatori delle forze di Polizia, non accenna a deflettere la corrosiva azione di penetrazione della criminalità organizzata e del micro crimine diffuso.

Commetterebbe un gravissimo errore chi immaginasse che sia sufficiente continuare a mantenere
l’assetto consolidato da questi chiaroscuri. Non tanto perché così facendo si condannerebbero
intere regioni ad un lento, irrecuperabile declino. Quanto perché gli indicatori disponibili fanno
presagire un rapidissimo e generalizzato deterioramento del precario stato di salute della sicurezza sull’intero territorio nazionale. Ed è per l’appunto di questo che chiediamo si preoccupi il neo
Governo.

A partire da quella che appare come la più dirompente tra le mine disseminate sull’accidentato
terreno su cui è costretto, oggi, a muoversi il sistema sicurezza. Da qui al 2030 si prevede il pensionamento di circa 40 mila operatori della Polizia di Stato. Numeri inquietanti restituiti da un’impietosa radiografia anagrafica. Non un allarme inedito, a dire il vero. Visto che, in parte inascoltati, in parte derisi e svillaneggiati, questo allarme lo avevamo lanciato almeno una dozzina di anni addietro. Oggi, non ci interessa discutere delle responsabilità di questo prevedibile dissesto, essendo nostra premura quella di ragionare su come evitare l’altrimenti ineluttabile scontro con l’iceberg piazzato sulla rotta della deriva intrapresa. Alcune idee le abbiamo, com’è lecito attendersi che sia. E le metteremo volentieri a fattor comune.

Intanto però dobbiamo segnalare come il tragico dato quantitativo risulti ancora più angosciante
se si cala la disamina sul profilo qualitativo. Buona parte di quei 40 mila pensionati è infatti depositaria di saperi professionali che, a causa di un decennio di blocco delle assunzioni, non si sono potuti riversare sulle generazioni successive. Non solo. Ad accedere alla quiescenza saranno migliaia di ufficiali di polizia giudiziaria che hanno costituito la cerniera in grado di mantenere

la continuità nell’attività di indagine, proseguita senza subire i contraccolpi per la fisiologica al ternanza al vertice degli uffici. I quadri intermedi, come con apprezzabile lettura è stato detto, sono stati la spina dorsale degli uffici della Polizia di Stato. Senza i quali, e senza esagerare, l’apparato non riuscirà a sorreggersi.

Proprio il caso da ultimo citato offre la plastica dimostrazione di come l’asserita mancanza di risorse sia sovente un argomento addotto pretestuosamente. Avevamo infatti cercato di lavorare con plurime sensibilità presenti nel precedente Parlamento ad un progetto di legge condiviso che doveva, con i dovuti distinguo in merito alla nostra specificità previdenziale, ma anticipando quanto proposto dal nuovo esecutivo relativamente all’introduzione di quota 41 e senza nessun benefit. Siulp e Siap avevano semplicemente proposto di ampliare al ruolo degli ispettori la possibilità, già oggi prevista per il personale dei ruoli inferiori, di permanere volontariamente in servizio fino a due anni oltre il limite ordinamentale, oggi fissato in 60 anni. Un’operazione per la quale non era richiesta alcuna spesa aggiuntiva, e che per di più avrebbe alleviato le indicibili sofferenze delle casse dell’INPS e, cosa assai più importante, avrebbe consentito di avere più tempo per traferire il know how maturato con l’esperienza alle giovani generazioni.

All’ultimo momento non se n’è più fatto nulla. Da quel che sappiamo molti dei responsabili del naufragio di quell’emendamento, che era contenuto all’interno della legge di stabilità per l’anno 2021, hanno capito di aver ceduto a pressioni non genuine e poco attente alle sorti del funzionamento del sistema sicurezza, esercitate da chi pensava di mettere in difficoltà 1 parlamentari proponenti e le
scriventi organizzazioni, che quel progetto avevano sostenuto. Detti attori, oggi, sarebbero ora
pronti a rivedere la loro posizione. Ci pare allora che questo potrebbe essere un primo emblematico provvedimento la cui urgenza, per quanto detto, non può essere revocata in dubbio.

Non vogliamo qui indugiare su altre e non meno spinose turbative che affliggono il ruolo degli ispettori. Ci sarà tempo e modo per approfondirle. Per rendere l’idea dello stato delle cose ci limitiamo ad anticipare che dei 24 mila ispettori previsti in organico ce ne sono oggi in servizio più o meno la metà. E presto, se non si interverrà, l’organico sprofonderà ampiamente al di sotto delle 10/mila unità. Scomparirà così l’ossatura dei quadri intermedi, con ogni conseguenza che da ciò discenderà sulla funzionalità dell’apparato. Anche al riguardo abbiamo più di qualche idea che confidiamo di poter quanto prima avere occasione di presentare nel dettaglio. Sicuramente appare opportuno evidenziare l’urgenza e la necessità di approvare una norma che deleghi al Ca po della Polizia o al Ministro la facoltà, con proprio decreto, di poter intervenire sulle procedure dei concorsi interni per poterle accelerare, quindi semplificare in deroga alle norme che le presiedono, almeno sino all’anno 2030, anno i cui si dovrebbe invertire la grave emorragia dei pensionamenti.

Una ulteriore concausa delle difficoltà che affliggono quello che oramai è sempre più simile ad un gigante dai piedi d’argilla è, poi, la indiscriminata serie di competenze che viene assegnata alla Polizia di Stato, sovraccaricando insopportabilmente una già abbondantemente compromessa capacità di attendere nella quotidianità alla mission istituzionale, che fino a prova contraria dovrebbe essere il presidio dell’ordine e della sicurezza pubblica. Fatichiamo davvero a capire come, ad esempio, si possa pensare che la gestione di fenomeni epocali, come quelli legati alle emergenze migratorie, possa essere affidata in toto al Dipartimento della Pubblica Sicurezza, andando ad attingere a un pozzo che da tempo è ampiamente prosciugato. Ma altrettanto si potrebbe replicare con riferimento ad altre incombenze puramente amministrative.

Razionalizzazioni, quelle delle suggestioni che precedono, che eviterebbero, tra l’altro, di assistere alla progressiva consunzione delle specialità, e segnatamente della Polizia Stradale, le cui sezioni provinciali ed i distaccamenti sono oramai ridotti ad un ruolo di pura e semplice testimonianza, una sorta di Fortezza Bastiani. E tanto proprio nel momento in cui le statistiche spiegano che l’Italia vanta in ambito comunitario non invidiabili primati statistici sulla sinistrosità e mortalità sulle strade.

Ma quand’anche si dovessero ottimizzare le competenze nel senso dianzi illustrato, e si dovesse arrivare alla piena capienza degli organici dei ruoli della polizia di stato, così come quelli del personale civile dell’amministrazione di ps – risultato che noi ovviamente sollecitiamo – la piena operatività verrebbe fortemente limitata dalle estremamente fragili, ove non del tutto effimere, tutele che assistono oggi i lavoratori della Polizia di Stato nell’adempimento dei propri doveri. E stato detto, e non è affatto una esagerazione, che il Poliziotto è il mestiere più bello del mondo, ma l’Italia è il Paese che più complica la vita a chi lo voglia fare. Migliaia di aggressioni preme ditate ed efferate subite dagli operatori delle Forze di Polizia, e dai lavoratori delle helping profession in genere, ogni anno, pari in media ad una ogni tre ore, non sono bastate a stimolare sinora il legislatore — da noi a più riprese incalzato con pubbliche denunce — ad approntare uno specifico impianto normativo in grado di svolgere un effetto di deterrenza. Non era poi molto quello che chiedevamo: che i violenti passassero almeno una settimana in carcere, con obblighi riparatori – allo stato di fatto privi di efficacia – prescritti sotto pena di coercizione. Se a ciò si aggiunge che le denunce contro i poliziotti, per quanto palesemente calunniose, portano ad una sistematica apertura di indagini penali a loro carico, qualificate come atto dovuto, che nella migliore delle ipotesi, anche in caso di assoluzione — esito che interessa la quasi totalità dei casi – finiscono per ritardare progressioni di carriera, e nella peggiore, e purtroppo frequente, li vedono onerati delle spese legali anche quando vengono assolti a causa di una incomprensibile interpretazione restrittiva della legislazione in subiecta materia, ben si comprende come anche un corpo di sana e robusta consistenza finisca alla lunga per essere intaccato dallo strisciante morbo che, con uno stravagante stravolgimento della prospettiva giuridica, considera sempre i poliziotti, come presunti colpevoli.

Il risultato è la diffusione tra le fila dei nostri colleghi di una percezione generalizzata di impotenza, che sta provocando una pericolosissima disaffezione e che miete vittime incolpevoli in forza di tesi di incolpazione che finiscono per il voler individuare nel poliziotto un responsabile a prescindere e in barba al principio costituzionale di presunzione d’innocenza.

Se qualcuno, dunque, volesse cimentarsi con indagini tese a comprendere quali siano alcune delle fonti del disagio vissuto, e purtroppo talvolta manifestato, dalle donne e dagli uomini in divisa, trarrebbe da quanto sin qui esposto interessanti spunti di riflessione. Potrebbe poi trovare ulteriori conferme sulle origini di questo malessere nel momento in cui andasse ad approfondire il versante retributivo. Lungi da noi il voler postulare che esista una equivalenza causale che possa mettere in relazione il reddito con l’insorgenza di difficoltà interiori o esistenziali. Ci pare però non si possa negare come la gratificazione economica sia uno dei momenti che rafforza il senso di appartenenza ad una comunità. E quando questa comunità è quella di chi è chiamato come mission professionale a mettere sé stesso a disposizione dei superiori interessi dei consociati, questo delicato punto di bilanciamento non può essere considerato come irrilevante. Specialmente se alla mortificazione economica si associa quella morale, per effetto della quale mentre l’aggressore del poliziotto non subisce conseguenze per il suo agito, per il poliziotto dallo stesso denunciato comincia un calvario giudiziario di kafkiana memoria.

Ci sia permesso ricordare come gli sforzi delle donne e degli uomini della Polizia di Stato abbiano dato un contributo determinante al superamento delle drammatiche fasi in cui la pandemia aveva intaccato la tenuta dei pilastri portanti della democrazia e la stessa coesione sociale. Non a caso il Presidente della Repubblica in una sua locuzione ha parlato dei poliziotti come “le vere facce della Repubblica”. Un lusinghiero giudizio che, nel rendere l’idea dell’importanza di avere una copertura ottimale del fronte interno, fa il paio con gli indicatori sulla considerazione di cui gode l’istituzione Polizia di Stato tra la cittadinanza. Ma non bastano gli attestati di stima per mandare avanti le famiglie. Perché anche i Poliziotti ne hanno una, e spesso la sacrificano per il lavoro, onorando così il giuramento di fedeltà alla Costituzione.

La contraddizione con l’incipit di apertura, dove avevamo promesso di non scadere in rivendicazioni corporative, è meramente apparente. I Poliziotti non pretendono nulla di abnorme rispetto ad una equa compensazione per la qualità e quantità del lavoro che sono chiamati a svolgere, e a fronte del quotidiano sforzo profuso, sempre più spesso relegando in secondo piano gli interessi dei loro cari. Il che vale a maggior ragione per chi, come i Dirigenti della Polizia di Stato e le Autorità di Pubblica Sicurezza, provinciale e locale, è chiamato a farsi carico di enormi responsabilità nonostante l’assoluta inadeguatezza della retribuzione, fissa e accessoria come per tutti i poliziotti, a fronte del valore e della qualità delle loro prestazioni.

Ciò detto, l’efficacia dei servizi di polizia che forniscono sicurezza, non può essere svincolata dalla qualità delle tutele, dei mezzi strumentali e normativi e della retribuzione del personale, oltre che dalla qualità del rapporto funzionale, reso asfittico dalle norme e non solo, introdotte dal cpp del 1989 tra la polizia giudiziaria e la magistratura inquirente. Da troppo tempo aspettiamo che qualcosa cambi anche in tema di specificità sul piano retributivo e previdenziale. Non ci riferiamo esclusivamente alla necessità ineludibile di rinnovare il CCNL 2022 – 2024, strumento necessario ma non più sufficiente a garantire il potere di acquisto degli stipendi, noi chiediamo e vogliamo confrontarci anche sui temi fiscali e previdenziali che ci riguardano, per poter garantire ai poliziotti e a tutti 1 lavoratori, una retribuzione e una pensione equa, per una vita dignitosa durante il lavoro e dopo che si chiude il ciclo del lavoro di ogni persona. Il rinnovo del contratto di lavoro e i suoi effetti, in questa fase, se non sono integrati e supportati, da una politica dei redditi che agisca concretamente sulla riduzione del cuneo fiscale, riducendo l’Irpef e il costo del lavoro, e sulla detassazione degli accessori, renderà vane tutte le
battaglie compiute dal sindacato e ogni sforzo attuato per tutelare gli stipendi e la qualità della vita.

Per comprendere il senso dell’amarezza che alberga in questo personale altamente qualificato, ma gravato di oneri e responsabilità, basti ricordare che parliamo di funzionari che nel corso della propria carriera sono assoggettati a plurimi trasferimenti di sede, con le conseguenti immaginabili ripercussioni sulla vita affettiva. Orbene, sono proprio loro gli unici dipendenti pubblici di fascia dirigenziale ancora privi di un contratto di lavoro nonostante il confronto per addivenire alla prima intesa sia stato aperto ben 5 anni fa. Perché ancora oggi non sono stati reperiti ed appostati i fondi necessari ad assicurare non già spropositati aumenti di stipendio, bensì il puro e semplice adeguamento all’indice di inflazione applicato al rinnovo dei contratti del pubblico impiego. E per l’effetto, giusto per spiegare con un palmare esempio quale sia il paradosso di tutto ciò, accade che per l’espletamento di un servizio di ordine pubblico chi è preposto a dirigerlo guadagni una indennità inferiore a quella di un Agente neo assunto. D’accordo lo spirito di servizio, però ci pare che si stia pretendendo un po’ troppo.

Quello proposto è, in estrema sintesi, il quaderno con gli appunti di alcune delle principali doglianze che ci piacerebbe discutere ed esaminare con gli insigni destinatari della presente, in una prospettiva di collaborazione programmatica, attraverso il dialogo costruttivo, auspicando che un esecutivo politico che gode del mandato pieno dell’elettorato possa essere, finalmente, munito della forza morale e politica per affrontare il dossier sicurezza, con la richiesta autorevolezza richiesta per le delicate materie attraverso le quali, si misura lo spirito democratico e pubblico della Repubblica.

Roma, 15 Novembre 2022

I Segretari Generali

Felice Romano
Giuseppe Tiani

 

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