Partita iva per l’esercizio di un’attività agricola finalizzata alla commercializzazione

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L’appartenente alle forze di Polizia può ottenere la partita iva per l’esercizio di un’attività agricola ancorché finalizzata alla commercializzazione della relativa produzione

Il principio è stato enunciato dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima) con la sentenza n. 00254/2023 del 24 febbraio 2023 che ha accolto il ricorso di un dipendente della Guardia di Finanza per l’annullamento del diniego del nulla osta all’apertura della partita iva finalizzata unicamente alla gestione dei terreni di proprietà e di quelli ereditati dalla madre, al fine di poter rimanere socio viticoltore di una cooperativa, conferirvi la propria produzione, assumere l’intestazione dei macchinari agricoli caduti in successione e acquistare i materiali di consumo.

L’Amministrazione, con il provvedimento di rigetto aveva obiettato che le attività di trasformazione, valorizzazione e commercializzazione dell’uva costituirebbero “finalità elettive dell’azienda”, la conduzione della quale non potrebbe che presupporre l’assunzione, da parte del ricorrente, della qualifica professionale di imprenditore, qualifica – collegata all’esercizio di un’attività di commercializzazione dei prodotti agricoli – che risulterebbe incompatibile con il rapporto d’impiego e con il servizio prestato nella Forza di Polizia.

Il Tribunale ha invece osservato che, ai sensi dell’art. 2135 c.c., la qualifica di imprenditore agricolo comprende anche “le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge” (comma 3).

Pertanto, all’interno di tale perimetro, le attività di trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo, non costituiscono, in carenza di ulteriori indicatori, il presupposto per l’attribuzione della qualifica e dello statuto di imprenditore commerciale.

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Invero, “in presenza di un’attività connessa di commercializzazione la natura di impresa agricola non consegue di per sé dallo svolgimento di un ciclo biologico di coltivazione collegato con il fondo, ma dal fatto che tale commercializzazione riguardi prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo piuttosto che in altro modo” (così Cass. Civ., Sez. VI, 21 gennaio 2021, n. 1049, in tema di prova del carattere agricolo dell’impresa ai fini dell’accertamento dei requisiti di esenzione dalle procedure concorsuali);

Ne consegue che il mero esercizio in seno all’impresa di un’attività, ancorché strutturata, di commercializzazione di prodotti di origine agricola, non consente – come invece ritenuto dall’Amministrazione – di qualificare direttamente detta impresa come commerciale ovvero di individuarne uno specifico ramo cui attribuire l’attributo della commercialità. “Attributo che, secondo l’inequivoco dato normativo (art. 2135, comma 3, c.c.), deve essere escluso in questa sede, avendo il ricorrente dichiarato che intende cedere esclusivamente quanto prodotto dalla coltivazione dei fondi di proprietà, così da racchiudere entro tale ristretto ambito – astrattamente compatibile con la conservazione della qualifica di imprenditore agricolo – l’attività di commercializzazione, ossia limitandola all’integrale cessione della propria produzione ad un unico operatore”.

Per quanto precede, secondo i giudici del TAR, ed entro i precisi limiti segnati dall’istanza dell’interessato, l’assunzione della qualifica di imprenditore agricolo strettamente funzionale all’attività di coltivazione dei terreni di proprietà e alla conservazione dell’azienda agricola di famiglia non appare dunque incompatibile con l’appartenenza ai ruoli della Pubblica Amministrazione.

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