Come già precisato lo scorso giugno, con la sentenza 130/2023, la Corte Costituzionale ha dichiarato in contrasto con i diritti costituzionali il pagamento differito della liquidazione ai dipendenti pubblici per contrasto con il principio di giusta retribuzione, che «si sostanzia non solo nella congruità dell’ammontare corrisposto, ma anche nella tempestività dell’erogazione».
Tuttavia, lo scorso marzo, la Ragioneria di Stato ha “rimandato al mittente” le proposte politiche di ridurre da un anno a tre mesi gli attuali tempi minimi di accredito della prima o unica tranche del TFR o TFS agli Statali e agli altri dipendenti della PA, avallate anche dall’INPS: i costi per risolvere il vulnus sono eccessivi e dunque rimane tutto invariato.
E per il 2024, tra l’altro, sono anche esauriti i fondi per chiedere all’INPS l’anticipazione integrale del proprio TFS, facendo un prestito direttamente con l’Istituto di Previdenza al tasso d’interesse dell’1%.
In base all’articolo 3, comma 2, del decreto-legge 79/1997, nel pubblico impiego il TFS viene versato a distanza di un anno dal termine del rapporto di lavoro, pagato a rate annuali se l’importo è superiore a 50mila euro (articolo 12, comma 7, del decreto 78 del 2010).
Il trattamento di fine servizio (comunque denominato) dei dipendenti pubblici viene liquidato dopo 12 mesi dalla pensione e dopo 24 mesi se il rapporto di lavoro si interrompe per licenziamento o dimissioni del lavoratore. I tempi si allungano ancora di più in casi di pensione anticipata con formule come Quota 100-102-103.
La Consulta aveva già rivolto al Legislatore un monito nella sentenza 159/2019. Lo scorso giugno, con la sentenza 130/2023 veniva dichiarato in contrasto con i diritti costituzionali il pagamento ritardato della liquidazione ai dipendenti pubblici per violazione del diritto del lavoratore (in contrasto con il principio di giusta retribuzione, che «si sostanzia non solo nella congruità dell’ammontare corrisposto, ma anche nella tempestività dell’erogazione»):
Spetta al legislatore, avuto riguardo al rilevante impatto finanziario che il superamento del differimento comporta, individuare i mezzi e le modalità di attuazione di un intervento riformatore che tenga conto anche degli impegni assunti nell’ambito della precedente programmazione economico-finanziaria.
Secondo la Ragioneria Generale dello Stato non ci sono i margini economici per anticipare a tre mesi (invece di un anno) il pagamento della prima rata del TFS, né tanto meno per aumentarne l’importo a 63.600 euro (invece di 50mila euro): il costo annuo sarebbe di 3,8 miliardi per il 2024.
In particolare, secondo l’INPS, l’importo medio lordo del TFS dei dipendenti pubblici che raggiungono la pensione di vecchiaia o i limiti di servizio è pari 82.400 euro. Costi troppo elevati che rendono impossibile l’attuazione di correttivi, neppure in modo graduale.
Da qui, la richiesta della RdS inviata alla Commissione Lavoro della Camera di non dare seguito alle proposte di legge migliorative dell’attuale disciplina.
Resta il pronunciamento della Consulta ed una discriminazione irrisolta su cui prima o poi il Parlamento dovrà intervenire.
Peraltro, dal 25 aprile 2024, non è più possibile chiedere all’INPS un prestito agevolato per farsi anticipare il 100% della propria liquidazione, senza dover attendere anni.
I fondi per il 2024 sono esauriti in poco più di tre mesi. Il punto è che le risorse sono stanziate di anno in anno dal consiglio direttivo dell’INPS e, a meno di stanziamenti extra, per quest’anno “i giochi sono chiusi”.
Resta, al momento, soltanto l’opzione di prestito bancario fino ad un massimo di 45mila euro a valere sul proprio TFS. Occorre, tuttavia, considerare che, sebbene il tasso promesso sia favorevole, gli istituti di credito che hanno aderito alla convenzione ABI sono pochissimi, e la macchinosa procedura per ottenere questa anticipazione rende lo strumento scarsamente utilizzato.