Abrogazione dell’abuso d’ufficio

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Abrogazione dell’abuso d’ufficio e introduzione del delitto di indebita destinazione di denaro o cose mobili

L’abrogazione dell’abuso d’ufficio è legge.

L’abuso d’ufficio fino a ieri era un reato contro la pubblica amministrazione previsto dall’articolo 323 del codice penale.

I delitti contro la pubblica amministrazione sono disciplinati dal Libro II, Titolo II, del codice penale. Gli articoli da 314 a 360, infatti, puniscono tutti quei comportamenti che, in diversi modi, ledono il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione.

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Il reato poteva essere commesso quando un pubblico ufficiale, ad esempio il Sindaco di un Comune, provocava ad altri un danno patrimoniale ingiusto o un vantaggio ingiusto a suo favore. Per la realizzazione del reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio dovevano ottenere l’ingiusto vantaggio o provocare ad altri un ingiusto danno nello svolgimento delle funzioni istituzionali e violando la legge.

L’articolo 323, infatti, stabiliva che: «Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni».

Per arrivare alla formulazione riportata, l’articolo era stato modificato più volte. Da sempre, infatti, tale reato è stato difficile da applicare a causa dei suoi confini poco definiti e, per questo, diversi Governi hanno provato a disciplinarne in modo più preciso i limiti.

Il primo Governo a intervenire fu il Governo Andreotti nel 1990.

Tutte le riforme che si sono susseguite nel corso degli anni e delle diverse legislature hanno avuto l’intento di indicare confini precisi del reato in esame, per tracciare una strada da seguire per i giudici.

L’ultima riforma risale al 2020, quando il Governo Conte ha limitato l’applicazione dell’art. 323 ai soli casi di violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità.

Tuttavia, da un lato nessuna riforma si è dimostrata in grado di soddisfare l’esigenza di individuare confini precisi al delitto di abuso d’ufficio, dall’altro la necessità di ridurre il carico sul sistema giudiziario penale, obiettivo della Riforma Cartabia e del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), unitamente al fatto che molti pubblici ufficiali (in particolare amministratori locali) hanno sottolineato negli anni che l’esistenza dell’articolo 323 ha provocato una prudenza eccessiva per il timore di essere coinvolti in procedimenti civili o penali, sarebbero, secondo la tesi governativa, alla base dell’abrogazione.

Tuttavia, come ogni riforma che si rispetti, parte della dottrina, non ha mancato di sottolineare che, con l’abrogazione del reato, viene a mancare un decisivo freno inibitorio rispetto alle deviazioni dei funzionari pubblici, trattandosi di una norma che tutelava i cittadini dagli abusi del potere, da quelli del vigile urbano che aspetta il condomino con cui ha litigato per contravvenzionarlo, a quelli del sindaco o degli amministratori – anche magistrati – che aiutano gli amici e gli amici degli amici o colpiscono i nemici.

Inoltre, la Commissione Europea, poco più di un anno fa, ha presentato un progetto di direttiva anticorruzione che prevede la conservazione di reati specifici per punire atti illeciti dei funzionari pubblici. Un quadro normativo che sembra non collimare con la nuova rotta italiana.

Invero, per evitare un vuoto normativo, il Governo ha introdotto il nuovo reato di indebita destinazione di denaro o cose mobili, disciplinato dall’articolo 314 bis del Codice penale, che prevede pene da sei mesi a tre anni per pubblici ufficiali che destinano denaro o beni mobili ad usi diversi da quelli previsti dalla legge, procurando un ingiusto vantaggio patrimoniale o un danno.

Nel contempo, sono state apportate modifiche anche al delitto di traffico di influenze illecite, con l’innalzamento del minimo edittale della pena da un anno a un anno e sei mesi.

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