Comandi e Distacchi

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Un collega che presta momentaneamente servizio in altra amministrazione, a titolo non precisato, chiede chiarimenti sulla spettanza e compatibilità di alcuni trattamenti economici accessori.

Gli istituti attraverso i quali, tipicamente, si interrompe formalmente la coincidenza tra dipendenza organica e rapporto di servizio sono denominati distintamente “comando”, “distacco”, ovvero “avvalimento”.

Nel comando, la cui disciplina originaria è riconducibile artt. 56 e 57 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), fermo restando il rapporto organico che continua ad intercorrere tra il dipendente e l’ente di appartenenza, si modifica il rapporto di servizio, atteso che il dipendente pubblico è inserito, sia sotto il profilo organizzativo-funzionale, che gerarchico-disciplinare, nell’amministrazione di destinazione, a favore della quale presta la propria opera.

Diversamente, nel distacco vi è l’utilizzazione temporanea del dipendente presso un ufficio, che è diverso da quello che costituisce la propria sede di servizio, ma che rientra comunque nella medesima amministrazione.

L’avvalimento, infine, si verifica quando l’amministrazione, anziché́ dotarsi di una struttura propria per lo svolgimento della funzione ad essa assegnata, si avvale degli uffici di altro ente, al quale non viene delegata la funzione stessa. In tal caso non si determina alcuna modifica del rapporto di impiego, perché́ il personale dell’ente che fornisce la struttura necessaria allo svolgimento del compito resta incardinato in quest’ultimo a tutti gli effetti, e non si verifica scissione fra rapporto di impiego e rapporto di servizio.

Il Consiglio di Stato ha avuto modo di chiarire che,per attribuire voci di salario accessorio anche al personale in distacco o comando, occorre ora rinvenirne la legittimazione nella negoziazione collettiva di settore applicabile al rapporto di lavoro propria dell’ente distaccante, in quanto il dipendente comandato o distaccato non viene inquadrato nell’amministrazione di destinazione e il suo rapporto di lavoro originario non viene meno, né muta per effetto del distacco o del comando la sua regolamentazione a livello legale e/o contrattuale (cfr. anche Cass., 19 marzo 2018, n. 6787, che ha affrontato proprio il tema delle differenze retributive richieste dal pubblico dipendente comandato presso altro Ente in regime di diritto pubblico per l’avvenuta effettuazione di mansioni superiori, negandone la spettanza quando la loro attribuzione non provenga dall’amministrazione di appartenenza o non sia stata comunque da essa avallata)”.

La Corte di Cassazione evidenzia come il pubblico dipendente comandato presso altro Ente in regime di diritto pubblico, ossia disciplinato dall’art. 3 del d.lgs. 165/2001 (esempio magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e le Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia), la normativa da applicare è quella del Testo unico degli impiegati civili dello Stato, la quale esclude che al pubblico dipendente possa giovare, sia dal punto di vista economico che da quello dell’inquadramento, lo svolgimento di mansioni superiori a quelle disimpegnate presso l’amministrazione pubblica di provenienza, quando l’attribuzione di esse non provenga da questa, o comunque non fosse stata da questa avallata.

In altri termini, nel pubblico impiego non contrattualizzato nessuna responsabilità può essere attribuita all’ente di provenienza qualora il personale comandato sia stato adibito a mansioni diverse rispetto al suo profilo professionale, con la conseguenza che un eventuale contenzioso, in caso di mansioni superiori, non potesse coinvolgere patrimonialmente l’amministrazione di appartenenza, a meno che non si dimostri che le mansioni espletate presso l’amministrazione in comando siano state avallate dall’amministrazione di appartenenza o da queste disposte.

Il Consiglio di Stato ha, poi, precisato che l’art. 3, comma 63, del d.P.R. n. 537 del 1993, prevede espressamente che «I pubblici dipendenti in posizione di comando, di fuori ruolo o in altre analoghe posizioni non possono cumulare indennità, compensi o emolumenti, comunque denominati, anche se pensionabili, corrisposti dall’amministrazione di appartenenza con altri analoghi trattamenti economici accessori previsti da specifiche disposizioni di legge a favore del personale dell’amministrazione presso la quale i predetti pubblici dipendenti prestano servizio.

Con riferimento al trattamento economico, l’art. 70, comma 12, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), prevede che l’amministrazione che utilizza il personale in posizione di comando, di fuori ruolo, o in altra analoga posizione rimborsa all’amministrazione di appartenenza l’onere relativo. Sin dal suo testo originario, dunque, la norma impone, cioè̀, agli enti e alle amministrazioni che utilizzano personale di altre pubbliche amministrazioni di rimborsare l’onere relativo al trattamento “fondamentale” agli enti di provenienza.

Al riguardo, la Corte costituzionale ha già avuto modo di affermare, con la sentenza 5 giugno 2018, n. 172, che «l’istituto del comando […] assume peculiare rilievo quale strumento funzionale alle esigenze organizzative delle amministrazioni pubbliche, che incide, tuttavia, profondamente sulla regolazione giuridica del rapporto di lavoro, in riferimento alle stesse modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e della disciplina dei suoi diversi profili, anche retributivi» (più̀ di recente, v. anche 30 ottobre 2020, n. 227).

Per quanto attiene invece al salario accessorio, solo nel caso di comando in senso tecnico si pone il problema del vantaggio che ne trae in esclusiva l’ente di destinazione, facente parte di un’amministrazione diversa da quella di appartenenza.

Sarà, pertanto, la contrattazione integrativa a disporre le modalità dell’eventuale erogazione, nei limiti delle disponibilità delle risorse accessorie, che comunque è complessivo rispetto a tutto il personale interessato. Solo a tali condizioni, dunque, andrà accertata la sussistenza in concreto dei presupposti di fatto legittimanti l’erogazione della specifica voce contrattuale, che potrà essere riconosciuta anche al personale comandato che ricopra in organico una posizione funzionale e svolga un’attività sovrapponibile a quella del personale di struttura, ma non potrà mai esserlo laddove, invece, si faccia ricorso a detto personale a supporto e in assenza di una loro preventiva previsione nella dotazione organica, ovvero, con terminologia più̀ attuale, nel piano dei fabbisogni. La riconducibilità, cioè, della voce salariale ad un dato costante legato all’appartenenza al ruolo e non al mansionario fa sì che solo ove ci si sostituisca a tale ruolo ne sia valutabile la corresponsione.

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