Condannata Arma dei Carabinieri per uso strumento disciplinare antisindacale

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Ultimo aggiornamento 18/06/2021

Il Giudice del lavoro condanna l’Arma dei Carabinieri per l’utilizzo dello strumento disciplinare in funzione antisindacale

Con sentenza n. 294/2021 R.G del 5 giugno 2021, il Tribunale di Potenza, in funzione di Giudice del lavoro, ha dichiarato ILLEGITTIMO PERCHÉ ANTISINDACALE IL COMPORTAMENTO tenuto dal Ministero Difesa e dal Comando Generale dell’Arma Carabinieri per aver censurato, con un provvedimento disciplinare, la libera manifestazione del pensiero e la libertà di critica di un militare responsabile di una struttura regionale di una organizzazione sindacale di categoria.

Alla base della decisione del Tribunale un provvedimento disciplinare (sospensione dal servizio) irrogato a un Militare dell’Arma dei Carabinieri che, nella qualità di Segretario Regionale di un sindacato di categoria, rilasciava dichiarazioni agli organi di informazione e in particolare al TG di RAI 3 Regione Basilicata, nell’esercizio del diritto di critica e libertà sindacale.

L’organizzazione sindacale di appartenenza del dirigente sindacale interessato adiva il Tribunale in funzione di Giudice del lavoro affinché accertasse e dichiarasse l’illegittimità del comportamento dell’Amministrazione e ordinasse la cessazione del comportamento illegittimo con rimozione degli effetti e immediata disapplicazione del provvedimento di irrogazione della sanzione ai sensi dell’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori.

Il Tribunale ha accolto in pieno il ricorso con una decisione che è importante sotto un duplice profilo.
Il primo riguarda l’affermazione della competenza del Giudice ordinario in materia di comportamenti antisindacali nel lavoro a regime pubblicistico, la legittimazione all’azione e il contenuto della cognizione devoluta al giudice del lavoro.

Al riguardo, il Tribunale, nel rigettare le eccezioni sollevate dall’Amministrazione militare, osserva che “”in parallelo all’effettiva azione sindacale su gran parte del territorio nazionale, risulta nella fattispecie legittimata, come da disposizione statutaria, l’iniziativa della segreteria regionale provinciale del SIULM di Potenza, a conferma dell’attività di promozione in giudizio delle istanze sindacali più idonee a conoscere da vicino gli interessi collettivi colpiti dalla condotta datoriale e a decidere tempestivamente sull’opportunità di proposizione del ricorso””.

Chiarita la sussistenza della legittimazione ad agire del Sindacato Militare, il Giudice del lavoro afferma la sussistenza della propria giurisdizione e competenza in quanto come chiarito dalla Corte di Cassazione “sono assoggettate alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie promosse dalle associazioni sindacali ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei lavoratori, anche quando la condotta antisindacale afferisca ad un rapporto di pubblico impiego non contrattualizzato che incida non solo sulle prerogative sindacali dell’associazione ricorrente ma anche sulle situazioni soggettive individuali dei pubblici dipendenti” (cfr. Cass. SU, Ordinanza n. 20161 del 24/09/2010 e SU, Sentenza n. 2359 del 09/02/2015 e nella giurisprudenza amministrativa Cons. Stato, sez. 1^, parere, 12 giugno 2002, n. 1647/02).

Invero, soggiunge il Tribunale, con l’ordinanza n. 20161 del 24/09/2010 le Sezioni Unite della Suprema Corte dopo aver ripercorso l’evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia, anche nella parte successiva alla riforma ad opera della legge n. 83 del 2000 che ha espressamente previsto l’abrogazione dei commi 6 e 7 dell’art. 28 SL (prima introdotti dalla L. 12 giugno 1990, n. 146, art. 6, comma 1), hanno evidenziato che con tale abrogazione espressa, il legislatore ordinario ha “fatto pulizia”, esprimendo la volontà che la “regola della giurisdizione in materia di controversie promosse da sindacati ed aventi ad oggetto condotte antisindacali di pubbliche amministrazioni sia solo quella netta e chiara – del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 3, senza più l’interferenza data dalla particolare ipotesi in cui l’associazione sindacale chieda la rimozione di un provvedimento che incida su posizioni individuali di dipendenti pubblici regolate ancora con atti amministrativi e non già con atti di gestione di diritto privato”.

Sulla base di tale orientamento della Corte di cassazione (proseguito, poi, con la sentenza n. 2359 del 09/02/2015 delle Sezioni Unite), quindi, è stata confermata la giurisdizione del Giudice Ordinario.
Il Legislatore, infatti, come chiarito dalle SS.UU. della Cassazione sopra ricordate, nell’abrogare con l’art. 4 della Legge 11 aprile 2000, n. 83, art. 4 i commi 6 e 7 dell’art. 28 della Legge 20 maggio 1970, n. 300 (che erano stati aggiunti dall’art. 6 della Legge 12 giugno 1990, n. 146) ha individuato il Giudice ordinario in giudice “esclusivo” in materia di controversie promosse da sindacati ed aventi ad oggetto condotte antisindacali di pubbliche amministrazioni, “anche qualora la tutela del diritto della associazione sindacale richieda la rimozione di un provvedimento che incida su posizioni individuali di dipendenti pubblici regolate con atti amministrativi e non già con atti di gestione di diritto privato”.

La giurisprudenza della S.C. oggi riconosce alla giurisdizione del Giudice ordinario in materia di condotta antisindacale una “cognizione incondizionata”, senza cioè l’eccezione della giurisdizione del Giudice amministrativo neppure nelle ipotesi in cui la condotta antisindacale si realizzi con atti che incidano sulle posizioni giuridiche dei singoli dipendenti anche con rapporto “non contrattualizzato”, come appunto quello del personale militare. Del resto né la giurisprudenza di legittimità né quella amministrativa hanno mai ritenuto che il Giudice competente in materia di condotta antisindacale debba necessariamente essere il medesimo cui è attribuita dal legislatore la giurisdizione con riguardo al rapporto di lavoro del personale rappresentato dalle associazioni sindacali, giacché queste ultime agiscono in giudizio avverso la condotta antisindacale per tutelare un proprio diritto soggettivo, che è del tutto autonomo rispetto al rapporto del personale rappresentato e risponde ad una natura giuridica diversa. Inoltre, la Corte costituzionale con l’ordinanza n. 143 del 2003, ha al riguardo puntualizzato che non sussiste alcuna esigenza costituzionale per cui, ove la condotta antisindacale patita dal sindacato incida anche su un rapporto di impiego non “contrattualizzato”, debba derogarsi alla regola generale della giurisdizione del giudice ordinario ora dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 3.

Tale interpretazione, secondo il Tribunale, risulta peraltro pienamente aderente anche alle disposizioni del diritto comunitario finalizzate ad assicurare il diritto del militare al ricorso effettivo e al giusto processo davanti ad un giudice terzo e imparziale come garantito dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo all’art.13 “anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali“, e dalla Carta di Nizza all’art.47 come diritto fondamentale.

La sentenza che ci occupa è oltremodo importante anche nella parte che riguarda il merito del giudizio.
Al riguardo, il Tribunale rileva come “sia la Procura Ordinaria che quella Militare hanno proceduto ad indagini preliminari scaturite dalla segnalazione del comando di appartenenza, indagini definite con richiesta di archiviazione accolta dal Giudice competente. In entrambi i procedimenti è dato cogliersi l’irrilevanza penale del fatto ma, anche, che il Militare disciplinarmente sanzionato ha agito in rappresentanza sindacale, esercitando i diritti e le libertà sindacali; ciò in linea con la previsione dell’art. 28 L.300/1970 tesa a contrastare ogni comportamento lesivo di interessi collettivi di cui sono portatori le Organizzazioni Sindacali……”.

Pertanto, esclusa la rilevanza penale della condotta del dirigente sindacale, secondo il Tribunale è insussistente la ricorrenza di quei comportamenti sanzionati dall’ordinamento militare e nemmeno in quella di cui al detto art. 1472, rubricato “Libertà di manifestazione del pensiero”, che, al comma 1, prevede che: “1. I militari possono liberamente pubblicare loro scritti, tenere pubbliche conferenze e comunque manifestare pubblicamente il proprio pensiero, salvo che si tratti di argomenti a carattere riservato di interesse militare o di servizio per i quali deve essere ottenuta l’autorizzazione”.

Dal contenuto dell’intervista, dai provvedimenti di archiviazione in atti, “”si evince la totale assenza di riferimenti a informazioni sottoposte a classificazione o comunque riservate, trattandosi di argomenti e considerazioni che in quel momento storico di emergenza sanitaria in tutto il Paese, venivano riprodotte quotidianamente da mass media e da politici, operatori sanitari, opinionisti, ecc.. La carenza di DPI a disposizione delle forze di polizia oltre che per la cittadinanza in genere, ha caratterizzato proprio la fase emergenziale in tutto il Paese e non di certo il solo territorio di competenza dei Carabinieri di Potenza; oggetto dell’intervista è proprio la problematica degli operatori del comparto sicurezza su tutto il territorio nazionale e le criticità provenienti dai settori sindacali, in cui si inserisce il dirigente sindacale. Peraltro le dichiarazioni sembrano finalizzate a sensibilizzare l’Amministrazione ad una maggiore tutela dei suoi dipendenti, sicchè non si ravvisa alcuna violazione ai principi di moralità, rettitudine e correttezza cui è tenuto il militare……””.

Il sindacalista sanzionato, secondo il Giudice del lavoro “ha manifestato il proprio pensiero quale rappresentante sindacale e l’adozione della sanzione disciplinare risulta in violazione dei diritti e degli interessi dell’associazione sindacale rappresentata, da tutelare ex art. 39 della Costituzione.
Risultano rispettati i limiti della continenza sostanziale e la continenza formale (Cassazione sent. n. 5259 del 1984) non rilevandosi falsità nelle affermazioni. Sussiste, pertanto l’urgenza e l’attualità della condotta, atteso il carattere intimidatorio di cui è portatore il provvedimento disciplinare se non rimosso. Posta la lesione della condotta sindacale, la stessa permane infatti quando, come nel caso di specie, il comportamento denunciato produce effetti durevoli nel tempo, anche per la situazione di incertezza che finirebbe per rappresentare una inevitabile restrizione ed ostacolo al libero svolgimento dell’attività sindacale futura. Il tutto correlato alla definizione di condotta antisindacale come definita dal legislatore, scientemente, in maniera indeterminata; l’art. 28 fa riferimento, infatti, a “quei comportamenti diretti ad impedire o limitare l’esercizio dell’attività sindacale nonché del diritto di sciopero”……

Per le ragioni esposte, il Tribunale, in accoglimento del ricorso, ha dichiarato illegittimo perché antisindacale il comportamento tenuto dal Ministero della Difesa Direzione Generale per il Personale Militare con l’adozione del provvedimento di sospensione dall’impiego ordinando al Ministero della Difesa e al Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, la cessazione del comportamento illegittimo posto in essere nei confronti del S.I.U.L.M. e la rimozione dei relativi effetti, con pubblicazione del decreto nelle bacheche sindacali e condanna alle spese dell’Amministrazione soccombente.

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