Con l’ordinanza n. 32213/2022 del 31 ottobre 2022, la Corte di Cassazione ha espresso un principio che sebbene riferito al lavoro pubblico cosiddetto privatizzato può costituire, tuttavia, un importante punto di riferimento anche per il nostro comparto.
La Corte afferma che il diritto ai buoni pasti nell’impiego pubblico ha carattere assistenziale e concilia le esigenze del lavoratore e del servizio per garantirgli il benessere necessario per svolgere le sue mansioni se il turno supera le sei ore. In tal senso, il buono pasto per i dipendenti pubblici rappresenta un intervallo non lavorato e quindi un’agevolazione necessaria a conciliare il lavoro e il benessere psicofisico del lavoratore per proseguire l’attività quando il turno dura più di sei ore.
Con la citata decisione i giudici di piazza Cavour hanno accolto il ricorso di un gruppo di infermieri cui la Corte di appello territoriale aveva negato il diritto ai buoni pasto sostitutivi del servizio mensa per ogni turno lavorativo superiore alle sei ore di durata nelle fasce orarie 07-14, 14-21 e 21-07 perché gli stessi non avevano mai chiesto il servizio mensa fuori dall’orario di lavoro, con interruzione del turno per la pausa pranzo e il prolungamento per un tempo di pari durata.
Secondo la Cassazione la sentenza impugnata, attribuendo rilevanza alla circostanza che i lavoratori non avessero mai richiesto la fruizione del servizio mensa fuori dell’orario di lavoro, si è discostata dai principi suesposti, e per tale ragione deve essere annullata.
Accertato, quindi, il diritto alla fruizione dei buoni pasto per ogni turno lavorativo eccedente le sei ore, e tenuto conto che il pasto non è monetizzabile ai sensi della disciplina vigente, dovrà il giudice del rinvio, nell’ambito dei suoi poteri di qualificazione della domanda proposta dai lavoratori, valutare se attribuire, in presenza dei presupposti di legge, il bene della vita invocato, se del caso a titolo di risarcimento del danno.
Gli Ermellini citano espressamente il principio di diritto espresso in una precedente decisione della Suprema Corte: “in tema di pubblico impiego privatizzato, l’attribuzione del buono pasto, in quanto agevolazione di carattere assistenziale che, nell’ambito dell’organizzazione dell’ambiente di lavoro, e diretta conciliare le esigenze del servizio con le esigenze quotidiane dei dipendenti, al fine di garantirne il benessere fisico necessario per proseguire l’attività lavorativa quando l’orario giornaliero corrisponda a quello contrattualmente previsto per la fruizione del beneficio, è condizionata all’effettuazione di una pausa pranzo che, a sua volta, presuppone, come regola generale, solo che il lavoratore osservando un orario di lavoro giornaliero di almeno sei ore, abbia diritto ad un intervallo non lavorato.”