Alcuni nostri iscritti in pensione ci chiedono chiarimenti in ordine alla detassazione del Trattamento di fine servizio con riferimento alle disposizioni di legge che la prevedono e alle modalità da utilizzare per verificarne l’effettiva e corretta applicazione da parte dell’istituto previdenziale erogatore.
La fonte normativa è costituita dall’articolo 24 del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 “Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni”, convertito con modificazioni dalla L. 28 marzo 2019, n. 26 (in G.U. 29/03/2019, n. 75).
Con la circolare n. 90 del 30 luglio 2020, l’INPS chiarisce che la disposizione normativa citata introduce un beneficio fiscale per i dipendenti pubblici, sotto forma di riduzione dell’aliquota determinata ai sensi dell’articolo 19, comma 2-bis, del D.P.R. n. 917/1986 (TUIR), da applicarsi all’imponibile dei trattamenti di fine servizio (TFS) con importo fino a 50.000 euro.
In generale, il beneficio si applica ai trattamenti di fine servizio, ossia all’indennità di buonuscita, all’indennità premio di servizio e all’indennità di anzianità per la parte di imponibile fino 50.000 euro, come definito ai sensi dell’articolo 19, comma 2-bis, del TUIR, indipendentemente dall’importo complessivo delle suddette prestazioni.
Il beneficio si applica, sia nel caso di pagamento della prestazione di TFS in un’unica soluzione che in forma rateale, ossia su ogni singola rata, sulla base dei criteri espressamente indicati dalla norma.
Per le risoluzioni del rapporto del lavoro avvenute a decorrere dal 1° gennaio 2019, occorre procedere ad una riduzione dell’aliquota fiscale crescente in funzione dell’intervallo temporale che intercorre tra la data di cessazione dal servizio dell’iscritto e la data di decorrenza del pagamento del trattamento di fine servizio.
Nello specifico l’aliquota fiscale è ridotta in misura pari a:
1,5 punti percentuali per le indennità il cui diritto al pagamento matura decorsi dodici mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro;
3 punti percentuali per le indennità il cui diritto al pagamento matura decorsi ventiquattro mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro;
4,5 punti percentuali per le indennità il cui diritto al pagamento matura decorsi trentasei mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro;
6 punti percentuali per le indennità il cui diritto al pagamento matura decorsi quarantotto mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro;
7,5 punti percentuali per le indennità il cui diritto al pagamento matura decorsi sessanta o più mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro.
Per le cessazioni dal servizio anteriori al 1° gennaio 2019, ai fini dell’applicazione del già menzionato beneficio fiscale, gli intervalli temporali di cui alle precedenti lettere a), b), c), d), e), decorrono dal 1° gennaio 2019 e non dalla data di risoluzione del rapporto di lavoro.
L’importo di 50.000 euro costituisce il limite massimo entro il quale applicare le agevolazioni percentuali previste dal citato articolo 24 e si riferisce all’imponibile fiscale complessivo del TFS.
In caso di pagamento rateale, la detassazione riguarderà le singole rate, ma sempre entro il limite massimo complessivo di 50.000 euro.
Pertanto, a fronte di un imponibile fiscale complessivo superiore a 50.000 euro la riduzione dell’aliquota di tassazione competerà solo sui primi 50.000 euro.
Per la base imponibile eccedente tale limite si applica l’aliquota prevista a normativa vigente.
Ai fini dell’individuazione dell’imponibile fiscale sopra menzionato, non vanno considerate le somme eventualmente corrisposte all’interessato a titolo di “altre indennità” (ad esempio, interessi, rivalutazione monetaria).
Tale imponibile costituisce il limite non superabile ai fini dell’attribuzione del beneficio previsto dall’articolo 24, sia nel caso di pagamento della prestazione di TFS in un’unica soluzione che in forma rateale.
La quota di imponibile fiscale eccedente tale importo rimane assoggettata alle modalità di tassazione generale previste al comma 2- bis, 2° capoverso, dell’articolo 19 del TUIR.
Per quanto concerne le modalità di determinazione dell’aliquota IRPEF, il comma 1 dell’articolo 24 del D.L. n. 4/2019, rinvia alle disposizioni di cui all’ articolo 19, comma 2-bis, del TUIR.
l comma 2-bis del citato articolo 19, specifica infatti che “l’imposta è applicata con l’aliquota determinata con riferimento all’anno in cui è maturato il diritto alla percezione”.
In particolare, l’aliquota d’imposta, individuata in relazione al reddito di riferimento, è quella vigente in base alle aliquote progressive dell’anno in cui è sorto il diritto al trattamento di fine servizio.
Resta confermata l’applicazione della c.d. “clausola di salvaguardia”, introdotta dall’articolo 1, comma 9, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, che prevede la possibilità di tassare il trattamento di fine servizio sulla base delle aliquote progressive in vigore al 31 dicembre 2006, se più favorevoli, in luogo di quelle vigenti nell’anno di maturazione del diritto alla prestazione.
In esito ad apposito interpello proposto all’Agenzia delle Entrate, l’Istituto ha acquisito conferma sui seguenti ulteriori aspetti applicativi della nuova norma.
In ordine alle modalità di computo, l’Agenzia delle Entrate ha concordato con l’Istituto sul fine di “minimizzare l’impatto delle modifiche necessarie ai sistemi gestionali” ritenendo corretto che “la detassazione parziale del trattamento possa essere operativamente attuata in forma di ‘detrazione fiscale’ dall’imposta, calcolata secondo le percentuali prefissate dalla norma applicate all’imponibile stesso, garantendo gli stessi risultati della ‘riduzione di aliquota’ indicata dalla norma.”
Pertanto, l’importo della detrazione fiscale viene sottratto dall’imposta dovuta con effetti equivalenti alla riduzione di aliquota indicata nell’articolo 24 del D.L. n. 4/2019.
Infine, con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate n. 8932/2020, è stato approvato il modello della Certificazione Unica dei redditi, che prevede tre nuovi campi relativi ai benefici dell’articolo 24 (punti 912, 913 e 914). Di conseguenza, considerato che il beneficio in oggetto si applica alle prestazioni liquidate a partire dall’anno 2020, i dati delle prestazioni TFS alimenteranno i nuovi campi dalla Certificazione Unica “CU 2021”.
L’effettiva applicazione della detassazione può essere verificata attraverso la lettura della determina INPS relativa al computo e alla liquidazione del TFS. In fondo al prospetto la legenda contrassegnata con asterisco relativo all’Irpef complessiva applicata dovrebbe riportare la dicitura “importo già ridotto ai sensi del DL/4/2019”.
Nel caso si dovesse riscontrare la mancata applicazione del beneficio ci si potrebbe rivolgere all’INPS quale sostituto d’imposta. Tuttavia, trattandosi di IRPEF versata in eccesso occorre ricordare che la legge prevede in questi casi anche la presentazione di una istanza di rimborso all’Agenzia delle entrate.
Invero, secondo i principi generali, chi versa imposte in misura eccessiva rispetto al dovuto ha diritto al rimborso: o direttamente in busta paga – da parte del sostituto d’imposta – oppure attraverso l’Agenzia delle Entrate. In tema di rimborsi e crediti fiscali la stessa Agenzia ha predisposto un’apposita guida, aggiornata ad agosto 2014, per riassumere in una sola breve pubblicazione le regole fondamentali tramite le quali accedere alla restituzione del denaro versato in eccesso. Al riguardo vi sono due possibilità per ottenere il rimborso: o richiederlo direttamente nella dichiarazione dei redditi (730 o Unico) oppure presentare un’istanza di rimborso presso l’ufficio competente dell’Agenzia. Vediamo un caso per volta.
“Chi utilizza il modello 730 può ottenere il rimborso Irpef (se di importo superiore a 12 euro) direttamente dal datore di lavoro o dall’ente pensionistico. La somma sarà accreditata nella rata di pensione a partire, rispettivamente, da luglio e agosto. Se, per qualunque motivo, il rimborso non è erogato, si può presentare istanza all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate del luogo in cui si risiede. In questo caso, occorre allegare alla richiesta la certificazione con la quale il datore di lavoro, o l’ente pensionistico, attesta di non aver eseguito il conguaglio e di non aver, quindi, rimborsato le imposte.
Occorre considerare anche che il termine prescrizionale è di 48 mesi decorrenti da quando il versamento è stato effettuato o dalla data di ogni singolo versamento (nel caso di più versamenti: acconti, saldo rateizzato, ritenute mensili) oppure dalla data del documento (CUD) nel quale il versamento di imposta è documentato.