Può costituire reato il corteggiamento ossessivo e invadente

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“Configura il reato di molestie un corteggiamento ossessivo e petulante, volto ad instaurare un rapporto comunicativo o confidenziale con la vittima, manifestamente a ciò contraria, realizzato mediante una condotta fastidiosa, pressante e diffusa reiterazione di sequenze di saluto e contatto, invasive dell’altrui sfera privata, con intromissione continua, effettiva e sgradita nella vita della persona offesa e lesione della sua sfera di libertà.”

Questo quanto sancito dalla sentenza n. 7993/2021 della Cassazione che ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto contro la sentenza del giudice di merito che aveva condannato l’imputato a tre mesi di arresto per il reato di molestie, dopo la riqualificazione dell’iniziale contestazione per stalking, per aver sottoposto a un “corteggiamento petulante, sgradito e molesto” la persona offesa soprattutto sul posto di lavoro e in alcuni bar della città.

Per la Cassazione che ha confermato le conclusioni del Giudice d’appello, “ai fini della configurabilità del reato di molestie previsto dall’art. 660 cod. pen., per petulanza si intende un atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua ed inopportuna della altrui sfera di libertà.”
Sotto il profilo oggettivo le condotte dell’imputato integrano quindi senza dubbio il reato di molestie, in quanto rappresentate da: “saluti insistenti e confidenziali con modalità invasive della sfera della riservatezza (in un’occasione abbracciandola); gli incontri non casuali e cercati nel bar dove lavorava la vittima (in cui l’imputato entrava ripetutamente con pretesti, senza consumare nulla, ma con il solo scopo di incontrare la persona offesa e tentare approcci con lei), come anche per strada inseguendola e salendo sul suo stesso autobus; la sosta sotto la sua casa” il tutto nonostante il disappunto della vittima, che ha dimostrato di non gradire questo corteggiamento ossessivo. Per integrare il reato di molestie, del resto, è sufficiente che si realizzi una significativa ed effettiva intrusione nella sfera privata altrui in misura tale da poterla assurgere a molestia o disturbo.

Infondate anche le argomentazioni sull’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato in quanto, ai fini della configurazione del reato di molestie, è sufficiente la coscienza e la volontà della condotta e la consapevolezza che questa è idonea a molestare o disturbare il soggetto che la subisce. Consapevolezza che nel caso di specie è provata dalle diverse manifestazioni di disappunto della vittima, che ha dichiarato di non gradire un corteggiamento così pressante, molesto, indiscreto, ostinato e sgradito.

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Giuste, secondo la Cassazione, sia la pena applicata che la mancata concessione delle attenuanti generiche, alla luce della durata della condotta, che si è protratta per più di un anno e mezzo durante il quale l’imputato non ha mostrato alcuna sensibilità davanti al fastidio e al malessere dimostrati dalla vittima.

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