Ritorniamo su un tema che abbiamo ultimamente trattato su queste pagine (nr. 15/2025 dell’11 aprile 2025) per fornire un ulteriore aggiornamento giurisprudenziale.
Con la recente ordinanza n. 11154 del 28 aprile 2025, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in ambito giuslavoristico: se il dipendente, durante un periodo di assenza per malattia, intraprende attività incompatibili con la guarigione, il datore di lavoro può procedere con sanzioni disciplinari, fino al licenziamento, anche in assenza di un danno effettivo alla salute.
Secondo gli ermellini, è sufficiente che il comportamento del lavoratore sia potenzialmente idoneo a pregiudicare il percorso terapeutico
La valutazione va compiuta ex ante, sulla base del pericolo ipotetico e non dell’effettiva compromissione del recupero fisico.
La decisione ha riguardato il licenziamento di un dipendente che, durante il periodo di malattia per un problema al braccio, nonostante la prescrizione di riposo assoluto, veniva sorpreso da un investigatore privato mentre guidava uno scooter per raggiungere la spiaggia.
Il lavoratore ha impugnato il licenziamento, ma la Cassazione ha ribaltato la decisione della Corte d’Appello, la quale aveva considerato eccessiva la sanzione, sostenendo che spettasse al datore dimostrare un peggioramento concreto della patologia.
Per la Suprema Corte, l’aspetto rilevante non è l’effettivo peggioramento della salute, ma il venir meno ai principi di correttezza, diligenza e buona fede previsti dal Codice Civile e, in particolare, dagli artt. 1175, 1375, 2104 e 2105. Anche in malattia, dunque, il dipendente è tenuto a rispettare gli obblighi connessi al rapporto di lavoro.
La Cassazione sottolinea che non esiste un divieto assoluto, per chi è in malattia, di dedicarsi ad altre occupazioni o passatempi. Tuttavia, è essenziale che tali attività non interferiscano con la cura o ritardino la guarigione. Emblematico, in tal senso, un altro caso (ordinanza n. 30722/2024) in cui è stato ritenuto lecito il comportamento di un lavoratore colpito da depressione che, durante la malattia, si era esibito cantando in un piano bar. I giudici hanno riconosciuto che quell’attività aveva effetti benefici sul percorso terapeutico.
La decisione si inserisce in un filone giurisprudenziale ormai consolidato, che comprende anche le sentenze n. 15621/2001, n. 6047/2018 e n. 13063/2022. In tutte si evidenzia come il lavoratore in malattia conservi l’obbligo di mantenere una condotta conforme ai doveri contrattuali, anche se non svolge la propria mansione. Inoltre, con l’ordinanza n. 12152 del 6 maggio 2024 la Suprema Corte ha precisato che i lavoratori assenti per ragioni di salute possono svolgere attività alternative, purché queste non siano controindicate dal punto di vista clinico e non comportino ritardi nel rientro al lavoro.
L’utilizzo di un investigatore privato può avere luogo, legittimamente, per l’avvenuta prospettazione di illeciti e per l’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione. In ogni caso, evidenzia la Corte, l’intervento deve limitarsi agli atti illeciti del dipendente non riconducibili al mero adempimento dell’obbligazione lavorativa.
Secondo la Corte di Cassazione, i controlli del datore di lavoro, anche a mezzo di agenzia investigativa, sono legittimi se finalizzati a verificare comportamenti del lavoratore che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti o integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo, non potendo, invece, avere ad oggetto l’adempimento o inadempimento della prestazione lavorativa vera e propria. Il controllo tramite agenzie investigative si giustifica per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, laddove vi sia il sentore o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione.