Dipendente allo stadio durante la malattia

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Grava sul datore di lavoro la prova della falsità dello stato di malattia e, dunque, del certificato medico, non rilevando il fatto che il lavoratore annunciatosi ammalato sia poi andato allo stadio per assistere a una manifestazione sportiva.

È quanto ha concluso il Tribunale di Arezzo, con sentenza n. 64 del 7 marzo 2023, pronunciata in merito alla vicenda di un lavoratore che era stato licenziato per essersi recato allo stadio, mentre era in malattia. Il licenziamento è stato ritenuto illegittimo per insussistenza dell’addebito:

Il datore di lavoro aveva posto a fondamento del licenziamento disciplinare la circostanza che lo stato di malattia lamentato dal dipendente, una lombosciatalgia, non fosse veritiero in quanto, in occasione della partita, lo stesso era apparso in piena salute, essendo stato visto muoversi speditamente e con disinvoltura, nonché recarsi allo stadio guidando il proprio mezzo.

Secondo parte datoriale, il certificato medico ottenuto per attestare la malattia, in realtà non sussistente, gli era servito per non recarsi al lavoro e poter così presenziare alla partita di calcio.

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Senza contare che la condotta tenuta dal lavoratore era sicuramente idonea ad aggravare la morbilità denunciata, in quanto chi soffre di mal di schiena deve riposare e non sottoporsi a sforzi, evitando anche di mettersi alla guida e subire le sollecitazioni della vettura.

Come indizio grave e concordante dal quale desumere la non genuinità della condotta, il datore aveva fatto riferimento al fatto che il biglietto per la partita era stato acquistato prima del sorgere della malattia e successivamente al momento in cui il lavoratore aveva preso contezza dei turni lavorativi.

Elemento, quest’ultimo, ritenuto tuttavia non idoneo, dal Tribunale, per dimostrare la fondatezza delle asserzioni di parte datoriale.

Dalla documentazione in atti, infatti, risultava che la partita era originariamente fissata per un altro giorno, in cui il dipendente sapeva di non dover lavorare.

Ad ogni modo, la data di acquisto dei biglietti era totalmente ininfluente, atteso che il prestatore avrebbe potuto decidere di recarsi all’evento sportivo, consapevole della propria malattia e con l’intenzione di non aggravare il proprio stato di salute.

Spetta al datore di lavoro – ha ricordato il giudice del lavoro – dimostrare l’insussistenza dello stato di malattia e la conseguente falsità della certificazione rilasciata dal medico.

E nella specie, non era stato esposto alcun ulteriore motivo idoneo a dimostrare l’infedele attestazione medica, posto che parte datoriale si era semplicemente limitata a contestare il valore probatorio della certificazione, senza apportare motivazioni idonee a fondare la propria tesi, non avendo provveduto, peraltro, né a segnalare la vicenda agli organi ispettivi INPS né a formulare dei capitoli istruttori atti a dimostrare l’asserita falsità della documentazione.

Secondo l’organo giudicante, inoltre, la condotta contestata non era di per sé qualificabile alla stregua di un grave inadempimento, in quanto il fatto di recarsi a una partita non necessariamente implica l’aggravarsi della malattia.

Nel caso esaminato, era emerso che non vi era stato alcun peggioramento dello stato patologico e, a riprova di ciò, deponeva il fatto che il dipendente era tornato nel luogo di lavoro non appena terminato il periodo di malattia stabilito dal certificato medico.

Rispetto a detto ultimo periodo, del resto, “non sussiste un obbligo di riposo assoluto ove non oggetto di prescrizione medica”.

Andava poi considerato – si legge ancora nella sentenza – che la durata della partita si estende per un arco temporale ben più breve rispetto all’intera giornata lavorativa e che, in quel frangente, a fronte di un’eventuale accentuarsi dei dolori, il prestatore avrebbe ben potuto assumere un antidolorifico.

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