Difficoltà di fruire della mensa di servizio per gli aggregati fuori sede

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Difficoltà di fruire della mensa di servizio per gli aggregati fuori sede. Compensazione del disagio arrecato. Richiesta di urgente convocazione di un tavolo di confronto

Riportiamo il testo della lettera inviata all’Ufficio Relazioni Sindacali dalla Segreteria Nazionale il 3 marzo 2025:

Abbiamo riscontrato come, con sempre maggiore frequenza, il personale aggregato in servizi fuori sede, per lo più quelli disposti in regime di ordine pubblico, sia costretto a disagevoli spostamenti per poter fruire della mensa di servizio.

Un appesantimento che, per quanto inopportuno, quando il pasto è concomitante con l’orario di servizio giornaliero viene compensato dal – doveroso – riconoscimento patrimoniale della disutilità sofferta.

Quando invece si tratta del pasto da consumare nelle altre fasce orarie – si pensi, ad esempio, alla cena nelle giornate in cui è stato svolto il turno nel quadrante antimeridiano – non essendo prevista alcuna formale indicazione, il tempo impiegato dal dipendente per raggiungere la mensa o altro punto di ristoro dalla struttura in cui è alloggiato non viene in alcun modo preso in considerazione. Non c’è tema di discussione, attesa la concreta irrilevanza, se il percorso da coprire è quantificabile in pochi minuti. Ben diversa è invece la prospettiva nei casi in cui, e non sono pochi, a causa della distanza o delle condizioni di traffico sono richiesti tempi più lunghi.

Ad acuire le criticità applicative sono poi disomogeneità interpretative da parte dei responsabili territoriali dell’Amministrazione di volta in volta interessati. Il che rende necessario definire uno stabile perimetro applicativo, che a nostro sommesso avviso non può che essere ispirato alle coordinate già tracciate dalle pronunce che si sono espresse nella materia di nostro interesse, che hanno affermato debba “considerarsi ragionevolmente sproporzionato pretendere che i dipendenti in servizio presso l’aeroporto, posto al di fuori dall’abitato cittadino, debbano entrare in città per usufruire della mensa costituita presso la Questura – dove non avrebbero altro motivo di recarsi – per poi andare o tornare in servizio oppure rientrare a casa, dato che l’Amministrazione non assicura loro la fruizione del pasto nelle vicinanze del luogo di lavoro” (Cons. Stato, 5007/2023).

È importante segnalare come nel caso da cui è preso il passaggio testuale che precede è stata considerata rilevante una distanza di poco più di tre km. Vero essendo che la controversia concerneva una sede disagiata, e che è stato riconosciuto il diritto ad ottenere il buono pasto sostitutivo, il principio statuito può essere sicuramente replicato in tutti i casi in cui, analogamente, al dipendente aggregato sia richiesta una prestazione eccedente la ragionevolezza per fruire del diritto al pasto, sottraendo tempo alla propria vita di relazione in assenza di una adeguata controprestazione. È in questi termini che va letto un altro momento qualificante della medesima sentenza, e segnatamente il passaggio nel quale è stato chiarito come “La possibilità o meno di accedere alla mensa deve essere valutata secondo il criterio di buona fede, che è un principio generale del diritto, corollario del dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. e oggi codificato dall’art. 1, co. 2-bis, della legge n. 241 del 1990, quale criterio cui devono improntarsi i rapporti tra cittadino e Amministrazione, il quale, come afferma una giurisprudenza ormai consolidata, «impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio di agire nell’ottica di un bilanciamento degli interessi vicendevoli, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di norme specifiche» (così fin da Cass. Civ., sez. III, sent. n. 20106 del 2009)”.

Un orientamento che riprende ed elabora quanto già chiarito in altri precedenti che si sono occupati di vicende analoghe (Cons. Stato, 7338/2019; Cons. Stato, 10791/2022).

Fermo restando che la questione qui dedotta presenta aspetti particolari rispetto alla casistica di cui si sono sino ad oggi occupate le corti, l’identità della questione sottesa, e cioè la fruizione del vitto in regime obbligatorio, induce a ritenere sovrapponibili i principi enunciati dal formante giurisprudenziale. Applicando i quali è ragionevole concludere che eventuali esigenze di natura organizzativa che non consentano di contenere la distanza tra alloggio e luogo deputato alla ristorazione non possono essere fatte gravare sul personale senza che lo stesso ottenga una compensazione per il disagio subito. Anche perché, diversamente opinando, si finirebbe per ammettere che tale distanza possa essere irragionevolmente dilatata.

È quanto sta accadendo, a titolo di esempio, con l’aggregazione in atto presso la Questura di Venezia, con colleghi sistemati in un hotel sito ad una dozzina di km dalla mensa, per raggiungere la quale devono percorrere una arteria stradale densamente trafficata, con inevitabile imprevedibilità del tempo di viaggio che può anche approssimarsi intorno alla mezz’ora a tratta. Tempi e distanze ampiamente superiori a quelli che hanno portato i giudici amministrativi a condannare l’Amministrazione nei rispettivi ricorsi.

Un chiarimento al riguardo è pertanto indifferibile, e auspichiamo sia quanto prima convocato un tavolo di confronto dove trovare un punto di intesa in ordine alle distanze massime oltre le quali prevedere una commisurata compensazione, in modo da sanare una volta per tutte la problematica qui rappresentata, scongiurando l’altrimenti inevitabile apertura di un ennesimo fronte contenzioso. …”.

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