Erogazione e recupero di somme non dovute ai pensionati

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Spesso, su queste pagine, ci siamo occupati del caso in cui, per motivi diversi, l’Inps eroghi somme non dovute ai beneficiari di trattamenti pensionistici e previdenziali in genere.

Il problema che si pone e sul quale ci pervengono richieste di chiarimento riguarda il comportamento da tenere quando il pensionato si veda richiedere dall’INPS la restituzione di somme pagate in eccedenza o comunque per vari motivi non dovute.

Secondo i principi generali del diritto civile qualsiasi pagamento di somme “non dovute” deve essere restituito. È l’art. 2033 del cod. civ. a disporre che “Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda”.

Detta norma è stata recentemente sottoposta al vaglio della Corte costituzionale che con sentenza 27 gennaio 2023 n. 8 ha ritenuto legittima la ripetibilità dell’indebito retributivo e previdenziale con cautele e garanzie per il percipiente in buona fede quando l’indebito stesso non abbia carattere pensionistico. Questo perché la pensione, diversamente dagli altri emolumenti previdenziali, ha una funzione alimentare, e quindi il pensionato non è tenuto ad accantonarne una parte per timore che l’Inps possa chiedergli indietro delle somme pagate per errore.

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Infatti, per quel che concerne le somme indebitamente erogate a titolo di pensione, l’art. 52 Legge del 9 marzo 1989 n. 88, consente la ripetibilità di quanto indebitamente erogato solo nei limiti in cui “l’indebita percezione sia dovuta a dolo dell’interessato”, dovendosi ritenere sanate le erogazioni di indebiti che siano dovute a un “errore di qualsiasi natura imputabile all’ente erogatore” (art. 13 Legge del 30 dicembre 1991 n. 412, che interpreta autenticamente il citato art. 52 L. 88/89).

Analogamente, con specifico riferimento alle pensioni erogate dalla Gestione Pubblica dell’INPS, l’art. 206 D.P.R. 1092/73 prevede una deroga al generale principio della ripetibilità dell’indebito di cui all’art. 2033 c.c., in forza della quale “nel caso in cui, in conseguenza del provvedimento revocato o modificato, siano state riscosse rate di pensione o di assegno ovvero indennità, risultanti non dovute, non si fa luogo a recupero delle somme corrisposte, salvo che la revoca o la modifica siano stato disposte in seguito all’accertamento di fatto doloso dell’interessato”.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare la nozione di dolo, sottolineando come esso “non [possa] meramente farsi coincidere con l’astratto dovere di conoscenza delle leggi”, ma debba ritenersi configurato solo “in presenza di dichiarazioni non conformi al vero, di fatti e comportamenti dell’interessato positivamente indirizzati ad indurre in errore l’ente erogatore, ingenerando una rappresentazione alterata della realtà tale da incidere sulla determinazione volitiva di esso e, quindi, sull’attribuzione della prestazione” (Cass. 02/08/2021, n. 22081, che a sua volta cita Cass. civile sez. lav. 24/12/1996, n. 11498).

Inoltre, sul versante amministrativo la Corte dei Conti, ha ritenuto ripetibili le somme indebitamente erogate dall’INPDAP a titolo di pensione solo nei casi in cui fosse stato accertato il fatto doloso del percipiente (nella fattispecie trattavasi di omissione dell’obbligo di comunicazione relativo ai requisiti reddituali previsti per l’attribuzione del diritto – Corte dei Conti Abruzzo, Sez. Reg. Giurisd, 28/06/2010, n. 355). Occorre, infine considerare che nel caso di dolosa percezione della pensione, se risulta accettata l’eredità, l’Istituto può agire anche nei confronti della moglie titolare della reversibilità, attraverso l’azione di ripetizione dell’indebito per recuperare eventuali somme non dovute, quando la sua condotta ha determinato la corresponsione da parte dell’INPS di somme superiori a quelle spettanti sulla pensione (Cassazione n. 17997/2021).

L’INPS con la circolare INPS n. 47 del 16 marzo 2017 e la Determinazione presidenziale n. 123 del 26 luglio 2017 ha emanato direttive in relazione alla “sanatoria – integrale o parziale – delle indebite erogazioni delle prestazioni pensionistiche”, enumerando e disciplinando varie tipologie di indebito, indicate come di seguito:

indebito derivante dall’errata comunicazione dei dati da parte dell’Amministrazione datrice di lavoro. Al riguardo, l’articolo 8, comma 2, del d.P.R. n. 538/1986 stabilisce che, al di fuori dell’ipotesi di fatto doloso dell’interessato, qualora per errore, contenuto nella comunicazione dell’Ente di appartenenza, venga liquidato un trattamento pensionistico in misura superiore a quella dovuta, l’Ente responsabile della comunicazione, quale obbligato diretto nei confronti dell’Istituto previdenziale, è tenuto a rifondere le somme indebitamente corrisposte, salvo rivalsa verso l’interessato da parte dell’Ente datore di lavoro;
indebito accertato in sede di attribuzione del trattamento di pensione definitiva e riferito alla differenza fra trattamento di pensione provvisorio e trattamento di pensione definitiva.
In questo caso, l’articolo 162 del d.P.R. n. 1092/1973 dispone invece il conguaglio a debito nel caso di minore importo del trattamento definitivo di pensione e il recupero dell’indebito direttamente sul trattamento pensionistico nell’ambito del rapporto obbligatorio che si articola secondo lo schema ordinario di bilateralità tra Istituto previdenziale e pensionato.

Sul tema del recupero dell’indebito formatosi sul trattamento pensionistico provvisorio, di cui al citato articolo 162, sono intervenute le Sezioni Riunite della Corte dei Conti che, con le sentenze n. 7/2011/QM e n. 2/QM/2012, hanno rivisitato l’orientamento in precedenza espresso con la sentenza n. 7/2007/QM ed hanno precisato che “Lo spirare di termini regolamentari di settore per l’adozione del provvedimento pensionistico definitivo non priva, ex se, l’Amministrazione del diritto-dovere di procedere al recupero delle somme indebitamente erogate a titolo provvisorio; sussiste, peraltro, un principio di affidamento del percettore in buona fede dell’indebito che matura e si consolida nel tempo, opponibile dall’interessato in sede amministrativa e giudiziaria. […]”.

In definitiva, l’orientamento giurisprudenziale che si è consolidato nel corso degli anni ha progressivamente introdotto il principio della tutela dell’affidamento ingenerato nel pensionato in buona fede dalla legittimità del provvedimento pensionistico provvisorio adottato. Tale affidamento deve essere valutato, in particolare, considerando il lasso temporale intercorso tra la fruizione della prestazione pensionistica indebitamente erogata e il momento in cui ne è chiesta la restituzione, nonché l’assenza di dolo dell’interessato nella causazione dell’errore che ha determinato detta prestazione.

Alla luce di tale indirizzo giurisprudenziale, l’articolo 162 del d.P.R. n. 1092/73 – che non fissa alcun limite temporale per l’eventuale recupero degli importi pensionistici provvisoriamente corrisposti – non può trovare applicazione qualora la liquidazione del trattamento definitivo di pensione sia oltremodo tardiva, rispetto ai perentori termini procedimentali fissati dalla legge, essendo trascorso un notevole lasso temporale tra la formazione dell’indebito e la richiesta di restituzione dell’Ente previdenziale.

L’obbligo di procedere all’azione di recupero – atteso che la provvisorietà del trattamento conferito, implicando il successivo conguaglio o la rettifica dello stesso, non preclude il diritto-dovere dell’Istituto alla ripetizione dell’indebito – comporta necessariamente l’esperimento dell’azione di recupero nei confronti delle Amministrazioni statali per gli indebiti sorti in applicazione di decreti dalle stesse emessi e posti in pagamento dall’ex INPDAP a seguito dell’ assunzione della competenza alla gestione e al pagamento delle pensioni agli iscritti alla CTPS.

indebito determinato dalla revoca o modifica del trattamento pensionistico definitivo.
Il recupero degli indebiti scaturiti da revoca o modifica di provvedimenti di pensione è disciplinato dall’articolo 206 del D.P.R. n. 1092/73 – applicabile anche agli iscritti alle Casse pensioni (CPDEL, CPS, CPUG, CPI) in virtù della disposizione di cui all’articolo 8, comma 1, del D.P.R. n. 538/86 – che dispone l’irripetibilità degli stessi, salvo che la revoca o la modifica siano state disposte in seguito all’accertamento di fatto doloso dell’interessato.

riforma in appello o in Cassazione di sentenza di primo grado favorevole al pensionato Le somme corrisposte in esecuzione di sentenza favorevole al pensionato, poi riformata in un successivo grado di giudizio, devono essere restituite all’Ente erogatore. Ciò in quanto dalla sentenza di riforma discende, in guisa quasi automatica, l’effetto di porre nel nulla, sin dal momento della sua emissione, il provvedimento dal quale traeva titolo il pagamento preteso e ottenuto dal ricorrente vittorioso; sicché l’esecuzione della sentenza di riforma non può non avere l’effetto di ripristinare la situazione giuridica riconducibile al primo decisum, quale era anteriormente alla proposizione del ricorso. (cfr. al riguardo, Cass. Civile, Sez. III, n. 829/2007; Cass. Civile, Sez. III, n. 21992/2007; Cass. Civile, Sez. Lavoro, n.14178/2009).

Pertanto, nessun affidamento nella sentenza favorevole al pensionato/iscritto rispetto al vaglio del Giudice superiore può essere ritenuto meritevole di tutela, atteso che il ricorrente vittorioso non può ignorare l’esistenza del principio costituzionale del duplice grado di giudizio, in virtù del quale la decisione favorevole al pensionato può essere, come spesso avviene, ribaltata in grado successivo.

In sostanza, la sentenza di riforma della prima sentenza favorevole al pensionato/iscritto implica la condanna, implicita, alla restituzione di quanto già percepito in esecuzione della prima sentenza, poi riformata. L’Istituto, infatti, a seguito della sentenza sfavorevole provvede al pagamento solo ed esclusivamente in forza della provvisoria esecutività della sentenza di primo grado ex articolo 431 c.p.c.

Per effetto della sentenza di riforma l’interessato, al quale è nota la provvisorietà degli effetti della prima sentenza, non ha più titolo per trattenere le somme percepite in via provvisoria, anche in forza di quanto previsto dall’articolo 336, comma 2 c.p.c., il quale dispone che “la riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata”. Pertanto, non sono applicabili a tali fattispecie le disposizioni di favore che nel tempo hanno individuato i presupposti per la non ripetibilità, integrale o parziale, delle indebite erogazioni delle prestazioni pensionistiche.

Indebito determinato da problema contabile o reddituale che abbia causato una qualsiasi
percezione non dovuta

Per quanto riguarda gli indebiti derivanti dalle verifiche reddituali, l’articolo 13, comma 2, della legge n. 412/1991, impone all’Inps di procedere annualmente alla verifica delle situazioni reddituali dei pensionati incidenti sulla misura o sul diritto alle prestazioni pensionistiche e a provvedere, entro l’anno successivo, al recupero di quanto eventualmente pagato in eccedenza. A questo riguardo l’Istituto spiega (circolare 47/2018) che se la verifica riguarda “redditi non conosciuti” (cioè redditi non presenti nelle banche dati a disposizione dell’Istituto) che determinino un indebito pensionistico, gli stessi devono essere recuperati entro l’anno successivo a quello nel corso del quale è stata resa da parte del pensionato la dichiarazione di dati completi.

Se si tratta di “redditi conosciuti” (es. pensioni o assegni già in godimento dal pensionato o dai suoi familiari comunicate al Casellario Centrale) il recupero dei relativi indebiti pensionistici deve essere effettuato entro l’anno successivo alla liquidazione del trattamento pensionistico rilevante.

In generale, l’articolo 13 della legge 412/91 prevede che le somme non dovute, erogate dall’Inps, non debbano essere restituite, a meno che l’errore non sia attribuibile all’interessato.

Al contrario, gli indebiti devono essere rimborsati all’Istituto nel caso in cui il pensionato sia a conoscenza di fatti, che possano modificare il suo diritto alla pensione o l’importo della stessa.

Se l’errore di somme indebitamente erogate riguarda provvedimenti dell’Istituto di previdenza sociale, esse allora rientrano nella sanatoria prevista dalla legge 412, nel caso in cui:

siano effettuate sulla base di provvedimenti formali e definitivi;
i provvedimenti siano stati comunicati al pensionato;
il provvedimento sia viziato da un errore imputabile all’Inps.
L’Istituto può avere diritto a ricevere rimborsi di somme erroneamente versate, solamente nel caso in cui il pensionato non comunica all’Istituto fatti, di cui l’ente non era a conoscenza, e che potrebbero modificare l’importo della pensione dello stesso.

Se tuttavia, l’interessato comunica adeguatamente all’Inps i fatti necessari e l’Istituto continua ad erogare somme che non spettano al pensionato, non può essere prevista alcuna restituzione. È l’ente, infatti, ad avere il dovere di verificare ogni anno i redditi del pensionato, che possano incidere sul diritto o sull’importo della prestazione.

Non solo: il recupero delle somme erroneamente versate deve avvenire entro un termine determinato, oltre il quale non può essere richiesto alcun risarcimento.

In particolare:

se i redditi che incidono sull’ammontare della pensione non erano a conoscenza dell’Istituto, la restituzione delle somme deve essere richiesta entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui l’Inps viene a conoscenza dei redditi;
se i redditi sono stati comunicati in sede di dichiarazione, l’erogazione errata delle somme deve essere notificata entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello della dichiarazione dei redditi.
Oltre tali limiti di tempo, le somme non possono essere più richieste indietro.

Nel caso in cui l’Istituto di previdenza richieda la restituzione di importi illegittimi, l’interessato dovrà avviare un ricorso amministrativo, in modo da poter procedere con un’azione giudiziaria successiva contro l’ente.

Se il ricorso ha esito negativo, è possibile fare causa all’Istituto.

Il Decreto-legge 19 maggio 2020 n. 34 (c.d. Decreto Rilancio), all’articolo 10 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, dopo il comma 2 ha inserito il comma 2 bis prevedendo espressamente che le somme indebitamente percepite “se assoggettate a ritenuta, sono restituite al netto della ritenuta subita e non costituiscono oneri deducibili”.

Infine, l’indebito pensionistico è soggetto al normale termine di prescrizione decennale (art. 2946 cc). La prescrizione del diritto alla restituzione si compie, pertanto, con il decorso di dieci anni decorrenti:

dal giorno in cui è stato effettuato il pagamento della prestazione indebita;
dal giorno in cui l’Istituto ha avuto conoscenza dell’insorgenza del credito.
Qualora l’indebito sia da ricollegare a situazioni che devono essere comunicate all’Istituto, il termine di prescrizione decorre dalla data della ricezione della comunicazione, in conformità all’articolo 2935 c.c., che dispone la decorrenza del termine prescrizionale dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.

Per quel che concerne le modalità di recupero per la Gestione pubblica, queste si atteggiano in una delle seguenti forme, in ordine di priorità:

compensazione con crediti arretrati vantati nei confronti dell’Istituto;
trattenute sulle prestazioni;
pagamento mediante rimesse in denaro.

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