Iniziativa del SIULP per ripristinare l’immediata corresponsione del trattamento di fine servizio
In considerazione del fatto che è iniziato l’esame dell’Atto Camera n°1254 contenente “misure per la riduzione dei termini per la liquidazione del trattamento di fine servizio dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche e rivalutazione dei limiti d’importo per l’erogazione rateale del medesimo trattamento” la Segreteria Nazionale ha intrapreso una iniziativa di sensibilizzazione a livello politico per eliminare, attraverso una modifica legislativa, il meccanismo dilatorio dell’art. 3, comma 2, del decreto-legge 28 marzo 1997, n 79, peraltro giudicato illegittimo dalla Corte Costituzionale, e consentire l’erogazione immediata del trattamento di fine servizio al momento del pensionamento.
Si riporta il testo della nota Inviata in data 6 febbraio 2024 dalla Segreteria Nazionale al Presidente della sesta Commissione Lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati:
“”Presidente, con la recente sentenza della Corte costituzionale, udienza pubblica del 9 maggio 2023, decisione del 19/06/2023, deposito del 23/06/2023, pubblicazione-in GU. 28/06/2023 n. 26, riguardante il giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, del decreto-legge 28 marzo 1997, n 79, misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblici, convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 1997, n. 140, e dell’art. 12, comma 7, del decreto-legge 13 maggio 2010, n. 78, misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza quater, nel procedimento vertente tra A. R., il Ministero dell’interno e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), con ordinanza del 17 maggio 2022, iscritta al n. 124 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica .n 44, prima serie speciale, dell’anno 2022, è stato evidenziato che la garanzia costituzionale della giusta retribuzione, non si recinta solo all’importo corrisposto ma, include anche la puntualità dell’erogazione rilevando, altresì, che le disposizioni sul pagamento differito del TFS nel pubblico impiego, introdotte originariamente per affrontare una crisi temporanea, sono diventate una prassi strutturale ingiustificata.
La natura retributiva attira le prestazioni in esame nell’ambito applicativo dell’art. 36 Cost., essendo l’emolumento di cui si tratta volto a sopperire alle peculiari esigenze del lavoratore in una «particolare e più vulnerabile stagione dell’esistenza umana» (sentenza n. 159 C.C del 2019).
La garanzia della giusta retribuzione proprio perché attiene a principi fondamentali, «si sostanzia non soltanto nella congruità dell’ammontare concretamente corrisposto, ma anche nella tempestività dell’erogazione» (sentenza n. 159 C. del 2019).
La stessa Corte si è dovuta far carico della considerazione che il trattamento di fine servizio costituisce un rilevante aggregato della spesa di parte corrente e, per tale ragione, incide significativamente sull’equilibrio del bilancio statale (sentenza n. 159 del 2019).
Non è da escludersi, pertanto, in assoluto che, in situazioni di grave difficoltà finanziaria, il legislatore possa eccezionalmente comprimere il diritto del lavoratore alla tempestiva corresponsione del trattamento di fine servizio. Tuttavia, un siffatto intervento è, anzitutto, vincolato al rispetto del criterio della ragionevolezza della misura prescelta e della sua proporzionalità rispetto alo scopo perseguito. Un ulteriore limite riguarda la durata di simili misure. La legittimità costituzionale delle norme dalle quali possa scaturire una restrizione dei diritti patrimoniali del lavoratore è, infatti, condizionata alla rigorosa delimitazione temporale dei sacrifici imposti (sentenza n. 178 del 2015), i quali devono essere «eccezionali, transeunti, non arbitrari e consentanei allo scopo prefisso» (ordinanza n. 299 del 1999).
Ebbene, il termine dilatorio quale risultante dall’art. 3, comma 2, del d.l.. n. 79 del 1997, come convertito, e successive modificazioni, oggi non rispetta più né il requisito della temporaneità, né i limiti posti dai principi di ragionevolezza e di proporzionalità.
A differenza del pagamento differito dell’indennità di fine servizio in caso di cessazione anticipata dall’impiego –in cui il sacrificio inflitto dal meccanismo dilatorio trova giustificazione nella finalità di disincentivare i pensionamenti anticipati e di promuovere la prosecuzione dell’attività lavorativa (sentenza n. 159 del 2019) – il, sia pur più breve, differimento operante in caso di cessazione dal rapporto di lavoro per raggiunti limiti di età o di servizio non realizza un equilibrato componimento dei contrapposti interessi alla tempestività della liquidazione del trattamento, da un lato, e al pareggio di bilancio, dall’altro.
Ciò in quanto la previsione ora richiamata ha «smarrito un orizzonte temporale definito» (sentenza n. 159 del 2019), trasformandosi da intervento urgente di riequilibrio finanziario-in misura a carattere strutturale, che ha gradualmente perso la sua originaria ragionevolezza.
E’ stata nondimeno segnalata, quanto alla medesima normativa, per l’effetto combinato del pagamento differito e rateale delle indennità di fine rapporto nelle ipotesi di raggiungimento dei limiti di età e di servizio o di collocamento a riposo d’ufficio a causa del raggiungimento dell’anzianità massima di servizio, «l’urgenza di ridefinire una disciplina non priva di aspetti problematici, nell’ambito di una organica revisione dell’intera materia, peraltro indicata come indifferibile nel recente dibattito parlamentare […]. Con particolare riferimento ai casi in cui sono raggiunti i limiti di età e di servizio, la duplice funzione retributiva e previdenziale delle indennità di fine servizio, conquistate “attraverso la prestazione dell’attività lavorativa e come frutto di essa” (sentenza n. 106 del 1996, punto 2.1. del Considerato in diritto), rischia di essere compromessa, -in contrasto con i principi costituzionali che, nel garantire la giusta retribuzione, anche differita, tutelano la dignità della persona umana» (sentenza n.159 del 2019). Ecco la necessità di un intervento del legislatore.
L’attuale situazione inflazionistica, in relazione anche ai ratei della prestazione previdenziale, incide sul potere d’acquisto perché non esiste una bilancia di recupero attraverso, semmai, una rivalutazione monetaria del TFS.
Vi è di più. I prestiti, anche a tassi agevolati delle banche, che oscillano dal 3 % al 4 %, e quelli dell’INPS come alternativa al pagamento immediato, non risolvono affatto il problema, anzi, a dirla tutta, impongono un aggiuntivo onere finanziario ai dipendenti pubblici. A tale problema non ha, tuttavia, fatto seguito una riforma specificamente volta a porre rimedio al vulnus costituzionale riscontrato. Non può, infatti, ritenersi tale la disciplina dell’anticipazione della prestazione dettata dall’art. 23 del d.l. n. 4 del 2019, come convertito, ai sensi del quale è possibile richiedere il finanziamento di una somma, pari all’importo massimo di 45.000 euro, dell’indennità di fine servizio maturata, garantito dalla cessione pro solvendo del credito avente ad oggetto l’emolumento, dietro versamento di un tasso di interesse fissato dall’art. 4, comma 2, del d.m. 19 agosto 2020 in misura pari al rendimento medio dei titoli pubblici maggiorato dello 0,40 per cento.
Analoghe considerazioni, peraltro, possono essere svolte in merito all’anticipazione istituita con la deliberazione del Consiglio di amministrazione dell’INPS 9 novembre 2022, n. 219. Essa è prevista a favore degli iscritti alla Gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali e consente di usufruire di un finanziamento pari all’intero ammontare del trattamento maturato e liquido, erogato al tasso di interesse pari all’1 per cento fisso, unitamente alle spese di amministrazione in misura pari allo 0,50 per cento dell’importo, dietro cessione pro solvendo della corrispondente quota non ancora esigibile del trattamento di fine servizio o di fine rapporto.
Le normative richiamate investono solo indirettamente la disciplina dei tempi di corresponsione delle spettanze di fine servizio. Esse non apportano alcuna modifica alle norme in scrutinio, ma si limitano a riconoscere all’avente diritto la facoltà di evitare la percezione differita dell’indennità accedendo però al finanziamento oneroso delle stesse somme dovutegli a tale titolo. Il legislatore non ha, infatti, espunto dal sistema il meccanismo dilatorio all’origine della riscontrata violazione, né si è fatto carico della spesa necessaria a ripristinare l’ordine costituzionale violato, ma ha riversato sullo stesso lavoratore il costo della fruizione tempestiva di un emolumento che, essendo rapportato alla retribuzione e alla durata del rapporto e quindi, attraverso questi due parametri, alla quantità e alla qualità del lavoro, è parte del compenso dovuto per il servizio prestato (sentenza n. 106 del 1996). In proposito, come in altre analoghe occasioni, bisogna evidenziare che non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa in ordine ai gravi problemi individuati dalle varie pronunce (da ultimo, sentenza n 2 del 2022; si vedano anche sentenze n. 120 e n. 32 del 2021).
D’altronde, anche solo per il consenso politico, il personale della Polizia di Stato meriterebbe una risposta alla domanda del perché debba pagare un tasso d’interesse per ricevere, all’atto del pensionamento, i propri soldi che già gli appartengono di diritto.
Pertanto, ci pare di comprendere che la problematica non sarebbe più il ragionevole differimento operante per definire un equilibrato componimento del pareggio di bilancio, ma piuttosto una volontà di far cassa, perché si consente di usufruire immediatamente dell’intero ammontare del trattamento maturato e liquido, solo dietro il pagamento di un corrispettivo costituito dal tasso d’interesse previsto.
Per quanto sopra descritto, si richiede di essere uditi in Commissione, anche in considerazione del fatto che è iniziato l’esame dell’Atto Camera n° 1254 contenente misure per la riduzione dei termini per la liquidazione del trattamento di fine servizio dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche e rivalutazione dei limiti d’importo per l’erogazione rateale del medesimo trattamento””.