l cuneo fiscale in busta paga

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Ultimo aggiornamento 26/01/2024

Molti colleghi ci chiedono dove siano, sulla busta paga, gli euro relativi al taglio del cuneo fiscale.

Con la nuova Circolare 11/2024, l’INPS spiega come è applicato il taglio del cuneo fiscale rispettando i massimali retributivi con diritto allo sconto (non si calcola la tredicesima) e illustrando una serie di casi particolari, dal part-time al cambio di lavoro.

Il riferimento normativo è il comma 15 della Legge di Bilancio 213/2023, che regolamenta il parziale esonero sulla quota IVS (invalidità, vecchiaia e superstiti) dei contributi previdenziali dovuti dal lavoratore.

La legge di Bilancio per il 2024, non fa altro che rinnovare, solo per il prossimo anno, il taglio di 7 punti percentuali dei contributi a carico dei lavoratori con una retribuzione annua pari a 25 mila euro lordi, e il taglio di 6 punti percentuali per quelli che guadagnano fino a un massimo di 35 mila euro. Si tratta del taglio, introdotto dal governo Draghi, in vigore anche per il 2023, confermato e ampliato dall’attuale governo per il 2024.

Si tratta, dunque, di una conferma dei benefici che i lavoratori già hanno oggi, ragion per cui non ci saranno cambiamenti significativi della retribuzione poiché l’aumento del netto in busta paga, già registrato nel corso del 2023 e influenzato dall’intervento governativo nel decreto Lavoro durante l’estate, viene semplicemente confermato.

Il cuneo fiscale è la differenza tra il valore lordo della busta paga e il suo valore netto, ossia quello effettivamente percepito dal lavoratore. Esso, tuttavia, è composto da due elementi:

dai contributi pensionistici, a carico in parte del lavoratore e in parte del datore di lavoro, che sommati sono sottratti dal lordo in busta paga per ottenere il netto;
dalle imposte.
Quando si parla di “taglio del cuneo fiscale” si può fare riferimento alla riduzione dei contributi, alla riduzione delle imposte, o alla riduzione di entrambe le voci insieme con la conseguenza di incrementare il netto in busta paga.

Secondo le stime dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), nel 2022 il cuneo fiscale italiano era il quinto più alto tra i Paesi considerati più sviluppati. Valeva in media il 45,9 per cento della retribuzione lorda, contro una media dei Paesi Ocse pari al 34,6 per cento.

Questa statistica fa riferimento a un contribuente tipo con stipendio medio, single e senza figli che, in Italia ogni 100 euro di retribuzione lorda riceve 54,1 euro netti.

Ciò a causa dell’elevata spesa pubblica per il welfare che il nostro paese sostiene. Le economie con un cuneo fiscale più basso hanno, di norma, livelli di privatizzazione dei servizi pubblici più alti, come la scuola e la sanità. Per esempio, non è un caso che gli Stati Uniti, con un welfare più esiguo abbia un cuneo fiscale più basso della media Ocse.

La manovra economica 2024 prevede la proroga del taglio del cuneo contributivo, che si combinerà a una riforma dell’Irpef che prevede la riduzione delle aliquote da quattro a tre.

Per valutare compiutamente gli effetti della stessa occorre, tuttavia, considerare alcuni elementi che potrebbero sfuggire ai contribuenti poco attenti.

In primo luogo, le attuali misure di taglio contributivo contenute nella legge di bilancio valgono esclusivamente per il 2024. Inoltre, è importante notare che, rispetto al 2023, vi sarà una riduzione del risparmio in busta paga dovuta all’esclusione della tredicesima mensilità. Inoltre, dal punto di vista operativo, i limiti retributivi devono essere valutati mensilmente, considerando l’imponibile previdenziale mensile. Quest’ultimo può variare a seconda degli eventi indennizzati dall’INPS, rendendo possibile l’applicazione del taglio contributivo in alcuni mesi e l’esclusione in altri.

È confermato anche che questa diminuzione della contribuzione versata non avrà alcun impatto sul calcolo delle pensioni, poiché la differenza rimarrà a carico dello Stato.

Vi sono poi altri elementi che appare opportuno considerare.

La riduzione dei contributi pensionistici si traduce in un aumento del reddito su cui è calcolata l’Irpef, ossia l’imposta sui redditi delle persone fisiche. In pratica, con il taglio del cuneo fiscale c’è un aumento del netto in busta paga, ma una parte di questo aumento finisce per tornare allo Stato con il corrispondente aumento dell’Irpef. Per questo motivo le stime sui benefici del taglio del cuneo fiscale vanno effettuate accuratamente caso per caso.

Inoltre, come spiega l’Ufficio parlamentare di bilancio, il taglio del cuneo fiscale così come concepito comporta “una trappola della povertà in corrispondenza delle due soglie su cui è applicato”, ossia 25 mila euro e 35 mila euro di retribuzione. “L’incremento della retribuzione di un solo euro oltre la soglia comporta, all’uscita dalla prima fascia, una riduzione dello sconto (e quindi una riduzione del reddito disponibile) di circa 150 euro”. Per questo, ha sottolineato l’Upb, la riduzione del reddito disponibile risulta invece molto maggiore (circa 1.100 euro) se la retribuzione lorda supera la soglia di 35 mila euro. Se il taglio del cuneo fiscale dovesse diventare da temporaneo a permanente, ossia rimanesse in vigore anche negli anni successivi al 2024, si rischierebbe di introdurre un «forte disincentivo al lavoro» e questo «renderebbe più complesso il raggiungimento degli accordi di rinnovo contrattuale». A un lavoratore potrebbe infatti convenire guadagnare sotto i 35 mila euro per beneficiare del taglio del cuneo”.

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