La Questura ha l’obbligo di rettificare i dati errati

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Una Questura aveva comunicato in modo errato a vari uffici il contenuto di un provvedimento di ammonimento, e, nonostante la richiesta di rettifica avanzata dalla persona interessata lo correggeva solo dopo l’apertura di un formale procedimento da parte del Garante per la privacy.

Per questa ragione, l’Autorità ha comminato al Ministero dell’interno, in quanto titolare del trattamento, una sanzione di 50 mila euro.

La Questura, pur sapendo della inesattezza dei dati comunicati, almeno dal giugno 2019, ossia dalla data di richiesta della rettifica della reclamante, non aveva provveduto, considerando sufficiente che fossero corrette le informazioni inserite nel Ced del Dipartimento della Pubblica Sicurezza.

Di diverso avviso è stato il Garante, al quale la donna si era rivolta. L’Autorità ha affermato infatti che la presenza dei dati corretti nel Ced del Viminale non esimeva la Questura dall’obbligo di rettificare i dati erronei trasmessi ad altri soggetti, obbligo la cui violazione ha determinato una lunga permanenza di dati personali inesatti nei loro archivi. Solo nel luglio 2020, ossia ad oltre un anno dalla richiesta di rettifica e solo dopo la comunicazione dell’avvio del procedimento da parte dell’Autorità, la questura ha inviato a tutti i destinatari della prima comunicazione una nota di rettifica dei dati.

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L’Autorità ha precisato che la consapevolezza da parte della questura di avere comunicato ad una pluralità di uffici dati inesatti e la decisione di non procedere subito alla loro rettifica, configura un trattamento illegittimo per violazione del diritto alla tempestiva rettifica dei dati personali errati senza giustificato motivo. Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dalla Questura, la condotta omissiva ha leso i diritti della reclamante all’esattezza dei propri dati personali ed alla loro immediata correzione in caso di inesattezza.

L’Autorità, tenuto anche conto della collaborazione poi fornita dalla Questura nel corso del procedimento, ha quindi applicato la sanzione minima, pari a 50mila euro, nei confronti del Ministero quale titolare del trattamento, ordinando alla stessa amministrazione di valutare l’opportunità di promuovere adeguate iniziative formative nei confronti del personale, anche periferico, della Polizia di Stato, per assicurare il rispetto dei diritti degli interessati e l’immediata rettifica dei dati inesatti.

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