Mobbing: le ultime novità giurisprudenziali

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Riassumiamo sinteticamente le ultime novità della Giurisprudenza di legittimità in tema di mobbing e dintorni.

“Ai fini della configurabilità di una condotta datoriale mobbizzante, l’accertata esistenza di una dequalificazione di plurime condotte datoriali illegittime non rappresenta condizione sufficiente, essendo necessario, a tal fine, che il lavoratore alleghi e provi, con ulteriori e concreti elementi, che i comportamenti datoriali costituiscono il frutto di un disegno persecutorio unificante, preordinato alla prevaricazione” (Cassazione ordinanza n. 17974/2022).

“E’ proprio l’elemento psicologico dell’intento persecutorio a segnare il tratto distintivo tra le ipotesi di mera dequalificazione e quelle di mobbing in cui, sul piano strutturale, la dequalificazione costituisce solo il momento oggettivo dell’illecito datoriale, che va corroborato, sul piano soggettivo, da una volontà datoriale persecutoria. Tale passaggio argomentativo della pronunzia di appello, già da solo sufficiente a radicare le ragioni del rigetto, non è stato toccato da alcuna censura, sicché neppure il quinto motive di ricorso è meritevole di accoglimento” (Cassazione ordinanza n. 11521/2022).

“In tema di liquidazione equitativa del danno da demansionamento è sindacabile in sede di legittimità, come violazione dell’art.1226 c.c. e, nel contempo come ipotesi di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa ed incomprensibile”, la valutazione del giudice del merito che, non abbia indicato, nemmeno sommariamente, i criteri seguiti per determinare l’entità del danno e gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al quantum” (Cassazione ordinanza n. 38834/20219).

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“Integra il delitto di atti persecutori e stalking la condotta di mobbing del datore di lavoro che ponga in essere una mirata reiterazione di plurimi atteggiamenti convergenti nell’esprimere ostilità verso il lavoratore dipendente e preordinati alla sua mortificazione e al suo isolamento nell’ambiente di lavoro – che ben possono essere rappresentati dall’abuso del potere disciplinare culminante in licenziamenti ritorsivi – tali da determinare un vulnus alla libera autodeterminazione della vittima (Cassazione penale sentenza n. 12827/2022).

“Essendo compito del giudice individuare correttamente gli effetti giuridici derivanti dai fatti dedotti in causa, sicché l’enunciazione che la parte faccia delle ragioni di diritto sulle quali la pretesa si fonda può valere a circoscrivere la cognizione del giudice solo nella misura in cui essa stia a significare che la parte medesima ha inteso trarre dai fatti esposti soltanto quelle e non altre conseguenze” (Cass. n. 14142/2000; conforme, fra altre: Cass. n. 11157/1996); – che, d’altra parte, la condotta riferibile alla nozione di mobbing costituisce violazione del generale obbligo di sicurezza posto a carico del datore di lavoro dall’art. 2087 cod. civ. (Cass. n. 18093/2013, fra le molte conformi), venendo, pertanto, a collocarsi anch’essa nell’area della responsabilità di natura contrattuale” (Cassazione ordinanza n. 2864/2022). 

“Non vi è dubbio che il Mobbing orizzontale, come ricostruito anche dalla giurisprudenza lavoristica, presenti quale componente qualificante, oltre ad un elemento oggettivo costituito dalla sistematica e prolungata reiterazione di atti espressivi di ostilità verso il dipendente, un elemento soggettivo individuato nell’intento persecutorio che unifica tali atti nella esclusiva finalità di mortificare la personalità e la dignità del lavoratore” (Sez. L, n. 12437 del 21/05/2018, Rv. 648956; Sez. L, n. 26684 del 10/11/2017, Rv. 646150).

È altrettanto certo che detto comportamento rileva anche ove posto in essere, oltre che dal datore di lavoro o da un suo preposto, da un altro dipendente (Sez. L, n. 17698 del 06/08/2014, Rv. 631986), dando luogo all’ipotesi del cosiddetto «mobbing orizzontale». Tuttavia, a parte il fatto che anche in questa ipotesi la rilevanza del comportamento, in termini di responsabilità per la violazione dell’art. 2087 cod. civ., è attribuita a titolo omissivo al datore di lavoro che abbia avuto conoscenza dell’attività persecutoria svolta da propri dipendenti nell’ordinario contesto lavorativo (Sez. L, n. 1109 del 20/01/2020, Rv. 656597).

“La giurisprudenza penale di legittimità ha evidenziato che l’eventuale illiceità civilistica della condotta persecutoria, in quanto inquadrata nell’ipotesi del mobbing, non esclude comunque che detta condotta integri le condizioni per l’autonoma configurabilità del reato di atti persecutori, ove la stessa determini taluno degli eventi previsti dalla relativa norma incriminatrice (Sez. 5, n. 31273 del 14/09/2020, F., Rv. 279752), eventi in ordine ai quali la sentenza impugnata ha fornito motivazione compiuta, esente da vizi logici e giuridici” (Cassazione sentenza n. 33581/2021).

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