Mobbing orizzontale: il datore deve risarcire i danni solo se a conoscenza delle attività persecutorie
Il principio è statuito dalla Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, con Ordinanza n. 1109 del 20 gennaio 2020.
La suprema Corte afferma che il lavoratore vittima di c.d. mobbing orizzontale non ha diritto al risarcimento da parte del datore, se quest’ultimo dimostri di non essere stato a conoscenza degli atti persecutori.
I Giudici di piazza Cavour, confermando la statuizione della Corte d’Appello hanno chiarito, preliminarmente, che il datore di lavoro è contrattualmente obbligato alla tutela dell’integrità psicofisica dei propri dipendenti e, pertanto, può essere condannato a risarcire il lavoratore che si ammali in conseguenza del mobbing subito dai propri colleghi (orizzontale), anche se la persecuzione non sia stata dallo stesso voluta o perpetrata.
Tuttavia, ad avviso del Collegio, tale responsabilità non ha natura oggettiva e, pertanto, il datore potrà essere condannato solo qualora nella propria condotta sia ravvisabile un elemento di colpa, ossia la violazione di disposizioni di legge, di un contratto o di una regola di esperienza; avrà diritto al risarcimento solo il lavoratore “mobbizzato” che riesca a dimostrare che il datore era a conoscenza dell’attività persecutoria posta in essere dagli altri dipendenti.
Sulla base di tali principi, in difetto della prova della consapevolezza del datore circa l’esistenza delle condotte persecutorie ai danni della lavoratrice, la Corte ha rigettato il ricorso di quest’ultima e confermato la sentenza dei giudici di merito.