Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima), con Sentenza n. 00042/2025 pronunciata nella camera di consiglio del giorno 9 gennaio 2025 ha accolto il ricorso di un agente scelto della Polizia di Stato annullando tutti i provvedimenti relativi al procedimento disciplinare elevato a suo carico e al termine del quale gli era stata inflitta la sanzione della pena pecuniaria pari a 4/30 di una mensilità dello stipendio e degli altri assegni a carattere fisso e continuativo con la seguente motivazione: “[…] libero dal servizio, svolgeva, unitamente al proprio genitore, titolare di azienda agricola, in quattro distinti periodi, … attività commerciale ……, consistente nella vendita al dettaglio, sulla pubblica via e in luogo privato, di arance e, in via residuale, d’olio d’oliva e altro, … a …. appartenenti alla Polizia di Stato, …. militari dell’Arma dei carabinieri e … cittadini, incassando, anche di persona, le somme di denaro quale corrispettivo della vendita di merce. Per detta finalità richiedeva e godeva giorni e orari di servizio tali da consentire, e agevolare, nel corso della stagionalità commerciale, l’attività commerciale con quella di servizio, curando in prima persona le prenotazioni, procurandosi un mezzo idoneo al trasporto della merce da questi condotto ed effettuando personalmente la consegna, anche durante l’orario di lavoro, presso gli Uffici e reparti della Polizia di Stato a Udine e provincia”.
I giudici amministrativi dopo aver rilevato che la partecipazione del ricorrente all’attività dell’azienda agricola del padre – consistente nella vendita di prodotti agricoli e nelle connesse attività di raccolta degli ordinativi, di consegna dei prodotti e di incasso del prezzo di vendita – non è, inquadrabile nell’esercizio del commercio ma più correttamente riconducibile all’esercizio dell’attività agricola (cfr. in argomento, T.A.R. Veneto, n. 254/2023) e osservato che anche l’attività agricola non sfugge comunque ai divieti stabiliti dalla normativa sull’esclusività e incompatibilità relativa allo status di dipendente pubblico, ha richiamato la precedente giurisprudenza (sentenza n. 7/24) e precisato che: “Per conferire all’art. 60 del d.P.R. 3 del 1957 un significato più aderente all’odierna struttura sociale, la disposizione deve essere interpretata alla luce della sua ratio, che è quella di dare applicazione al principio costituzionale di esclusività della prestazione lavorativa a favore del datore pubblico (art. 98 Cost.), sottraendo tutti coloro che svolgono un’attività lavorativa “alle dipendenze” – in senso lato – delle Pubbliche Amministrazioni dai condizionamenti che potrebbero derivare dall’esercizio di altre attività: “se il criterio guida è, dunque, l’interferenza sull’attività ordinaria del dipendente, anche la partecipazione in imprese agricole è da ritenere incompatibile con un rapporto di lavoro a tempo pieno laddove sussistano gli indicati caratteri della abitualità e professionalità” (Cass. civ. 27420 del 2020, cit.). In dette ipotesi, anche l’attività agricola, quale “professione” ulteriore a quella pubblica, risulterà inibita”.
Tuttavia, nel caso sottoposto alla sua cognizione il tribunale non ha ravvisato lo svolgimento di una attività con carattere imprenditoriale e professionale quanto piuttosto una attività di coadiuvazione del padre nel ricevere, in un periodo ben limitato di tempo, alcuni ordinativi da parte dei colleghi, nell’effettuare saltuariamente alcune consegne di cassette di arance e nell’incassarne, in taluni sporadici casi, il prezzo di vendita.
Ad avviso dei giudici, non può essere qualificata quale attività imprenditoriale quella svolta dal ricorrente per pochi giorni all’anno, esclusivamente a favore di conoscenti e colleghi (e non del mercato) e in assenza di attività organizzativa dei mezzi o della disponibilità di locali per la commercializzazione “giacché manca in toto la dimostrazione che il ricorrente abbia esercitato professionalmente e con una certa continuità l’attività economica contestata, anche attraverso l’autonoma organizzazione dei mezzi, dei locali e dell’eventuale personale per la vendita della merce dell’azienda agricola del padre. Nel suo concreto dispiegarsi, l’attività del ricorrente appare tuttalpiù astrattamente inquadrabile e sussumibile nella diversa figura del rapporto di lavoro autonomo o subordinato, attività comunque vietata dagli artt. 60 del d.P.R. n. 3/1957 e 50, primo comma, del d.P.R. n. 335/1982. Sennonché, non integrano in ogni caso un rapporto di lavoro autonomo o subordinato le prestazioni svolte da parenti e affini sino al sesto grado in modo meramente occasionale o ricorrente di breve periodo, a titolo di aiuto, mutuo aiuto, obbligazione morale senza corresponsione di compensi, salvo le spese di mantenimento e di esecuzione dei lavori”.
Si è trattato, secondo il Tribunale, di una attività occasionale e, come ha riconosciuto la stessa Amministrazione, temporalmente limitata anche solo per ragioni, per così dire, stagionali e connesse, cioè, al periodo di produzione e vendita delle arance. A ciò si aggiunga l’incontestata natura gratuita dell’attività contestata, evidentemente effettuata a scopo di aiuto del padre, le cui condizioni di salute si erano recentemente aggravate.
A coronamento delle motivazioni che hanno condotto al rigetto del ricorso il Tribunale ha altresì rilevato che dall’esame del provvedimento di rigetto del ricorso gerarchico presentato dal ricorrente prima di adire il tribunale, non emerge alcuna precisa indicazione circa le ragioni del mancato accoglimento delle osservazioni e censure trasfuse nel ricorso poiché “il Ministero resistente si è infatti limitato a rigettare il ricorso gerarchico sul semplice e aspecifico rilievo che è “priva di pregio la censura in quanto, da indagini effettuate da personale della Digos di Udine, su delega del Questore, è emersa la piena partecipazione del dipendente ad un’attività di tipo imprenditoriale, comprovata dall’escussione resa a verbale di testi e dall’acquisizione di materiale video-fotografico. Le ragioni di rigetto del ricorso gerarchico in questo modo congegnate, lungi dal prendere adeguata posizione sui precisi rilievi procedimentali e di merito mossi dal ricorrente, costituiscono in realtà e nella sostanza una motivazione soltanto apparente e, quindi, inadeguata”.