Ci vien chiesto se l’ufficio, possa obbligare il dipendente a fruire delle ferie in un periodo non gradito.
La giurisprudenza della Cassazione ritiene che in linea generale non si possa obbligare il dipendente a fare le ferie quando questi non le vuole fare.
La pronuncia più recente, in questo senso, è costituita dall’ordinanza del 19 agosto 2022, n. 24977 della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro.
In detto provvedimento la Suprema Corte ha stigmatizzato il principio che “L’esatta determinazione del periodo feriale, presupponendo una valutazione comparativa di diverse esigenze, spetta unicamente all’imprenditore quale estrinsecazione del generale potere organizzativo e direttivo dell’impresa ed al lavoratore compete soltanto la mera facoltà di indicare il periodo entro il quale intende fruire del riposo annuale, anche nell’ipotesi in cui un accordo sindacale o una prassi aziendale stabilisca – al solo fine di una corretta distribuzione dei periodi feriali – i tempi e le modalità di godimento delle ferie tra il personale di una determinata azienda. Peraltro, allorché il lavoratore non goda delle ferie nel periodo stabilito dal turno aziendale e non chieda di goderne in altro periodo dell’anno non può desumersi alcuna rinuncia – che, comunque, sarebbe nulla per contrasto con norme imperative” (art. 36 Cost. e art. 2109 c.c.).
Anche precedentemente i Giudici di piazza Cavour avevano ritenuto il collocamento forzoso in ferie contrastante con la finalità propria dell’istituto, con la specificazione che “il potere attribuito all’imprenditore, a norma dell’art. 2109 c.c., di fissare il periodo di godimento delle ferie da parte dei dipendenti implica anche quello di modificarlo pur in difetto di fatti sopravvenuti, in base soltanto a una riconsiderazione delle esigenze aziendali, senza che in senso contrario rilevi la prescrizione relativa alla comunicazione preventiva ai lavoratori del periodo stabilito, dalla quale tuttavia si desume, da un lato, che anche le modifiche debbono essere comunicate con preavviso e, dall’altro, che gli eventuali rilievi del lavoratore, che ritenga l’indicazione del datore di lavoro in contrasto con i propri interessi, devono intervenire senza dilazione” (cfr. Cass.11/02/2000 n. 1557 e Cass.12/06/2001 n. 7951).
Secondo la Cassazione, dunque, la collocazione in ferie del lavoratore quando è tale da non consentirgli di organizzarsi per fruirne, in concreto, nel periodo di riposo determinato unilateralmente dal datore di lavoro comporta il venire meno della ratio della normativa costituzionale e legislativa delle ferie, che risiede nel ristoro psicofisico del lavoratore, per il cui conseguimento è ovviamente necessaria una certa programmazione che consenta al lavoratore di indicare le sue preferenze (Cass. Sezione lavoro – Ordinanza n. 24977 del 19 agosto 2022).
In buona sostanza, posta l’irrinunciabilità delle ferie e la nullità di un qualsiasi accordo “a contraris” tra il lavoratore e il datore di lavoro quest’ultimo non può obbligare il dipendente a fare le ferie quando vuole lui, chiedendogli con scarso preavviso di non presentarsi al lavoro in un determinato periodo che magari al lavoratore non interessa o non conviene. Resta fermo, tuttavia, il principio che il lavoratore che non abbia voluto godere delle ferie non può pretenderne la monetizzazione, al momento della risoluzione del contratto, a meno che il mancato godimento sia imputabile a cause indipendenti dalla sua volontà, come ad esempio la malattia o particolari esigenze dell’Azienda o dell’ufficio che non abbiano consentito il godimento delle ferie nei periodi richiesti.
La Giurisprudenza Amministrativa, invece, con riferimento al lavoro pubblico, sembra evidenziare un indirizzo di segno opposto.
I Giudici Amministrativi, in particolare, hanno affermato alcuni principi, argomentando in primo luogo che il lavoratore interessato, secondo buona fede e correttezza, ha l’onere di reagire immediatamente, anche in via stragiudiziale, avverso la statuizione della P.A. intesa a negare o a differire l’esercizio di tale suo diritto, invece di restare silente magari per proporre, a distanza di tempo, un’azione orientata a ottenerne il pagamento sostitutivo (Consiglio di Stato Sez. V 3 aprile 2000 n. 1910); e in secondo luogo che, nel caso di mancata richiesta da parte del dipendente, le ferie vanno disposte d’ufficio (TAR Lazio Roma Sez. II bis Sentenza 02 luglio 2008 n. 6350 e Consiglio di Stato Sezione V 30 giugno 1998 n. 985), e che anzi, il superiore cui spetta l’autorizzazione alla concessione dei periodi di riposo ha il potere dovere di assegnare d’ufficio le ferie, eventualmente anche diffidando a usufruirne (Consiglio di Stato Sezione III 1° febbraio 2012 n. 500).
Vi sono alcune considerazioni che valgono per il mondo del lavoro privato o privatizzato, ma che sono, tuttavia, indicative sul piano dei principi generali che da esse è possibile ricavare.
L’articolo 2109 del Codice civile, richiamato dall’art. 10, D.Lgs. n. 66/2003, stabilisce che il datore di lavoro deve comunicare preventivamente al dipendente il periodo del godimento delle ferie. Va da sé che quel «preventivamente» non riguarda il giorno prima e nemmeno due. Ma ci sono altri due passaggi da non sottovalutare. Uno, è quello che fa riferimento agli «interessi dell’azienda e del prestatore di lavoro».
Significa che non si può obbligare il dipendente a fare le ferie (o tutte le ferie) solo quando l’azienda lo decide. Altro discorso è che, per esigenze del datore di lavoro, ci sia un periodo in cui il dipendente non può recarsi in ufficio o in fabbrica (pensiamo, ad esempio, alle chiusure aziendali di agosto o – per chi le adopera – durante il periodo natalizio). In questo caso, il resto del monte ore può deciderlo il lavoratore. Nel caso in cui venga obbligato, senza motivo, a smaltire i giorni di riposo in modo coatto, l’azienda può essere condannata a reintegrare il monte ore di ferie maturate.
L’altro passaggio importante dell’articolo del Codice civile in materia di ferie riguarda l’opportunità di godere di quel periodo «in modo continuativo». Sulla questione si è pronunciato il Tribunale di Pordenone, chiamato a pronunciarsi su una società che, ripetutamente, metteva le maestranze in ferie solo per qualche ora al giorno, a ridosso o in sostituzione dell’utilizzo della cassa integrazione, senza accordo con i sindacati e senza preavviso.
Per i giudici, obbligare il dipendente a fare le ferie in questo modo viola il Codice civile perché vengono decise in periodi frazionati e per «l’assenza di una preventiva comunicazione e di un qualche accordo sindacale in materia». Inoltre, per il tribunale friulano, il datore di lavoro è tenuto a dare al dipendente comunicazione scritta riguardante le ferie, precisando nominativo, le ore di ferie da smaltire e data e periodo in cui devono essere godute.
Un ultimo cenno merita la decisione della Corte di giustizia europea che, con una recente sentenza. si è pronunciata sul caso di un lavoratore tedesco che, finito il rapporto di lavoro, pretendeva i soldi delle ferie che non aveva fatto anche se l’azienda gli aveva suggerito di utilizzare le ferie residue in tempo utile prima della scadenza del contratto. Per i giudici, questo equivale ad una definitiva rinuncia del lavoratore al proprio diritto alle ferie e, quindi, anche all’indennità sostitutiva che va corrisposta solo alla fine del rapporto di lavoro.
La medesima Corte di giustizia UE ha enunciato, altresì, il principio che se il lavoratore muore senza aver goduto delle ferie, agli eredi spetterà il diritto all’indennità sostitutiva per ferie non godute, (sentenze rese nelle cause C-619/16 e C-684/16).
Anche la Corte di Cassazione ha statuito lo stesso principio affermando che “se la fruizione delle ferie maturate non risulta più possibile per essere intervenuto il decesso del lavoratore, esse debbono essere monetizzate a favore degli eredi. A questa regola si può derogare solo se in costanza di rapporto, il datore di lavoro abbia offerto al dipendente un adeguato spazio temporale per fruire delle ferie e il lavoratore non abbia, invece, goduto di tali ferie per una scelta autonoma, non riconducibile alle esigenze aziendali” (ordinanza n.7976/2020 depositata il 21 aprile 2020).
Considerata l’immediata e diretta derivazione dei principi nazionali in materia rispetto a quelli comunitari, giova sottolineare che, in ambito comunitario, il diritto alle ferie annuali retribuite costituisce “principio particolarmente importante del diritto sociale comunitario, al quale non si può derogare e la cui attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dalla direttiva stessa” (punto 43 della sentenza Bectu del 26.6.2001, C-173/99; punto 28 della sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging del 6.4.2006, C- 124/05; punto 29 della sentenza Merino Gomez del 18.3.2004, C – 342/01).
Sul punto, si tenga altresì presente che il riposo annuale costituisce diritto sociale fondamentale del lavoratore, sancito nella Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea, proclamata a Nizza nel dicembre 2000, che, all’articolo 31.2. nell’ambito del diritto a condizioni di lavoro giuste ed eque, ha affermato il diritto di “ogni lavoratore” a ferie annuali retribuite.
In conclusione, val la pena di richiamare altri due principi:
le ferie maturano in costanza di rapporto di lavoro e non alla fine di ciascun anno di ininterrotto servizio (Corte cost., 10 maggio 1963, n. 66);
le ferie maturano anche nei confronti dei lavoratori assunti in prova ragion in caso di recesso dal rapporto le stesse devono essere monetizzate (Corte cost., 16 dicembre 1980, n. 189).