La Cassazione con la sentenza n. 46188/2023, ha chiarito i limiti di utilizzo delle telecamere di sicurezza installate in un esercizio commerciale senza la preventiva autorizzazione richiesta dalla legge, annullando la condanna inflitta dal giudice di merito alla titolare di un bar che aveva installato, senza la preventiva autorizzazione, delle telecamere di sicurezza all’interno del suo esercizio commerciale in violazione dell’articolo 4 legge n. 300 del 1970.
L’interessata aveva presentato ricorso per Cassazione, sostenendo che l’impianto era a circuito chiuso, che non implicava alcuna registrazione e che l’azienda non aveva dipendenti. L’imputata aveva anche eccepito l’assenza di elementi idonei ad affermare la coscienza e volontà del fatto illecito.
La presenza di lavoratori nel luogo ripreso dagli impianti di videosorveglianza è requisito imprescindibile per la configurabilità del reato in questione.
Invero, detto reato, sulla base di quanto previsto dall’articolo 15 del d. lgs. 10 agosto 2018, n. 101, che costituisce la disposizione incriminatrice, è integrato dalla violazione dell’articolo 4, comma 1, legge 20 maggio 1970, n. 300, previsione a sua volta diretta a regolamentare l’uso, da parte del datore di lavoro, degli impianti audiovisivi e degli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori.
La Corte di Cassazione ha evidenziato che non è configurabile la violazione della disciplina di cui agli artt. 4 e 38 legge n. 300 del 1970 – tuttora penalmente sanzionata in forza dell’articolo 171 d. lgs. n. 196 del 2003, come modificato dalla legge n. 101 del 2018 – quando l’impianto audiovisivo o di controllo a distanza, sebbene installato sul luogo di lavoro in difetto di accordo con le rappresentanze sindacali legittimate o di autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro, sia strettamente funzionale alla tutela del patrimonio aziendale, sempre che il suo utilizzo non implichi un significativo controllo sull’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa dei dipendenti o resti necessariamente “riservato” per consentire l’accertamento di gravi condotte illecite degli stessi (cfr. Cassazione, sentenza 3255/2020).
Il giudice di merito aveva semplicemente dato atto che nel bar in questione erano stati installati cinque monitor e cinque telecamere senza una espressa autorizzazione, senza accertare se vi fossero lavoratori dipendenti, né se l’impianto di videosorveglianza in questione implicasse un significativo controllo dello svolgimento dell’attività lavorativa dei dipendenti (qualora esistenti).
La Suprema Corte ha quindi deciso di annullare con rinvio la sentenza trasmettendo tutti gli atti al Giudice di rinvio, per valutare la sussistenza del reato di cui agli artt. 4 e 38 legge n. 300/1970, e 171 d. lgs. n. 196/2003 (come modificato dalla legge n. 101/2018), verificando se nel bar gestito dall’imputata prestassero servizio lavoratori subordinati e, in caso affermativo, se l’impianto di videosorveglianza implicasse un controllo significativo dell’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa dei dipendenti e non vi fosse la necessità di tenerlo “riservato” per consentire l’accertamento di gravi condotte illecite dei lavoranti.