Resistenza a pubblico ufficiale: legittima se l’agente, in maniera consapevole, travalica i limiti entro cui le funzioni pubbliche devono essere esercitate – Corte Cass. nr. 36009 del 21.06.2006 –

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Ultimo aggiornamento 23/07/2013

Resistenza a pubblico ufficiale: legittima se l’agente, in maniera consapevole, travalica i limiti entro cui le funzioni pubbliche devono essere esercitate.

La Corte di cassazione ha ritenuto legittima la reazione dell’imputato rispetto ad un comportamento definito “non ortodosso e sconveniente del medesimo pubblico ufficiale, che, con arroganza e fare autoritario, lo aveva afferrato per un braccio e pretendeva di condurlo con la forza presso gli uffici della polizia municipale, per identificarlo compiutamente e contestargli formalmente una violazione al Codice della Strada, già accertata in precedenza da altro vigile urbano. Nella fattispecie si verteva in un ambito comportamentale nel quale l’agente, in maniera consapevole e deliberata, ha travalicato i limiti e delle modalità entro cui le funzioni pubbliche devono essere esercitate. (Corte Cass., sez. sesta penale, nr. 36009 del 21.06.2006 – dep. il 27.10.2006)

 Corte Cass., sez. sesta penale, nr. 36009 del 21.06.2006 – dep. il 27.10.2006

 

 

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

 

A T.M. si addebitano i seguenti reati: a) reato p.p. dall’art. 337 c.p., perchè usava violenza, consistita nel chiudere la portiera del lato guida della propria autovettura e nel ripartire improvvisamente con la stessa, sì da trascinare per alcuni metri e da fare cadere rovinosamente a terra il comandante dei VV.UU. Z.R., che aveva appoggiato il suo braccio dx sulla spalla del T., e ciò al fine di opporsi al p.u., che lo aveva invitato a seguirlo negli uffici per la identificazione; b) reato p.p. dall’art. 582 c.p., dall’art. 61 c.p., n. 10, e dall’art. 583 c.p., comma 1, n. 1, perchè, mediante la condotta di cui al capo che precede, cagionava allo Z. lesioni personali guaribili in gg. 45; in (OMISSIS) il (OMISSIS).

Il Tribunale di Biella, con sentenza 3/2/2004, aveva dichiarato il T. colpevole del delitto di lesioni e, in concorso delle attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti, lo aveva condannato alla pena di mesi sei di reclusione, con i doppi benefici, nonchè al risarcimento dei danni in favore della parte civile; lo aveva assolto dal delitto di resistenza, perchè il fatto non sussiste.

La Corte d’appello di Torino, investita dai gravami del P.M. e dell’imputato, con sentenza 12/7/2005, riformando in parte quella di primo grado, dichiarava il T. colpevole anche del delitto di resistenza e, ritenuta la continuazione tra i due reati, rideterminava la pena in mesi cinque e giorni dieci di reclusione, sostituendola con la corrispondente pena pecuniaria e revocando, come da richiesta dell’imputato, il beneficio della sospensione condizionale.

Riteneva la Corte di merito, valutate le testimonianze di persone presenti ai fatti, che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa dell’imputato, il comportamento del vigile Z., anche se assunse, per effetto delle accese rimostranze e critiche dell’imputato, destinatario di una contravvenzione per divieto di sosta, toni alterati, non trasmodò mai nell’atto arbitrario, avendo egli legittimamente, di fronte al rifiuto di declinare le proprie generalità da parte dell’imputato, invitato costui a seguirlo in ufficio per l’identificazione e per consentire anche la formale contestazione della violazione al codice della strada; che non costituiva atto arbitrario l’avere tentato di trattenere per un braccio l’imputato, dal momento che costui palesemente si era opposto all’invito di seguire in ufficio il vigile; che la condotta tenuta dal T. aveva indubbiamente ostacolato ed intralciato l’attività d’ufficio del p.u.; che l’imputato, nell’avviare improvvisamente l’auto, nel mentre il p.u. era chino verso l’interno della stessa, aveva accettato il rischio di potere compromettere l’integrità fisica di quest’ultimo.

Ricorre per Cassazione, tramite il proprio difensore, l’imputato e deduce: 1) violazione della legge penale, con riferimento all’art. 337 c.p., e vizio di motivazione, non essendosi dato il giusto rilievo al comportamento certamente arbitrario del p.u., che, come riferito dai testi B. e T., aveva assunto nella circostanza un atteggiamento arrogante e aggressivo nei confronti del T., afferrandolo per un braccio e cercando di tirarlo fuori dall’auto; 2) violazione della legge penale, con riferimento agli artt. 582 e 583 c.p., e vizio di motivazione, dovendosi escludere la volontarietà delle lesioni, conseguenza soltanto dell’atteggiamento “da sceriffo” assunto dal vigile, che aveva messo le mani addosso all’imputato e si era letteralmente aggrappato all’auto del medesimo.

Il ricorso è in parte fondato.

Quanto al contestato reato di resistenza a p.u., osserva la Corte che la condotta posta in essere dal T. non fu finalizzata a impedire o a ostacolare l’attività funzionale del pubblico ufficiale, ma rappresentò, secondo la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito, una reazione al comportamento non ortodosso e sconveniente del medesimo pubblico ufficiale, che, con arroganza e fare autoritario, lo aveva afferrato per un braccio e pretendeva di condurlo con la forza presso gli uffici della polizia municipale, per identificarlo compiutamente e contestargli formalmente la violazione al codice della strada (divieto di sosta), già accertata in precedenza da altro vigile urbano. L’atteggiamento sconveniente e prepotente non può essere consentito al pubblico ufficiale e in esso deve essere individuato il consapevole travalicamento dei limiti e delle modalità entro cui le funzioni pubbliche devono essere esercitate, con l’effetto che la reazione immediata del privato a tale atteggiamento rende inapplicabile la norma incriminatrice di cui all’art. 337 c.p., e ciò ai sensi del D.Lgs.Lgt. n. 288 del 1944, art. 4. Il T. si allontanò con l’autovettura per sottrarsi alla presa del vigile.

La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata sul punto, perchè il fatto non costituisce reato.

Non evidenzia, invece, profili di illegittimità la sentenza nella parte relativa alla pronuncia di colpevolezza per il reato di lesioni volontarie e va conseguentemente disatteso il corrispondente motivo di ricorso. L’imputato, invero, nella circostanza di cui è processo, si rese ben conto della particolare posizione in cui era venuto a trovarsi il vigile Z., incastrato tra lo sportello e l’abitacolo della vettura, e ciò nonostante avviò improvvisamente la marcia dell’auto, determinando la rovinosa caduta del predetto e le conseguenti lesioni, che vanno addebitate all’agente quanto meno a titolo di dolo eventuale.

Non potendo questa Suprema Corte, per effetto dell’annullamento in relazione al delitto di resistenza, individuare la misura della pena riferibile al delitto di lesioni, va disposto a tale fine il rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Torino.

 

P.Q.M.

 

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla resistenza a pubblico ufficiale, perchè il fatto non costituisce reato, e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Torino per la determinazione della pena in ordine al residuo reato. Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 21 giugno 2006.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2006

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